«Se non ti uccide il Covid, ti uccide il sistema sanitario». Sono parole forti quelle di Michele Cirelli, un cittadino di Verbicaro che ha deciso di raccontare la sua esperienza famigliare per testimoniare quante e quali difficoltà si affrontano se per caso ti capita la sfortuna di finire nei meandri del Covid e della sanità calabrese.

La vicenda

Tutto ha avuto inizio quando sua suocera scopre lo scorso 11 maggio di essere stata contagiata. Lei si isola, secondo le disposizioni delle autorità, gli altri famigliari fanno lo stesso ponendosi in quarantena fiduciaria, ognuno in posto diverso. Il suocero si trasferisce in campagna, Michele in un appartamento a fianco, mentre sua moglie e la nonna restano nell'appartamento dove fino a pochi giorni prima ha dimorato la suocera, cosicché la donna più giovane possa accudire la più anziana. L'89enne, infatti, ha avuto ischemia ed emorragia cerebrale, con conseguente demenza, e ha un piede in cancrena. Deve essere controllata subito per capire se anche lei abbia contratto il virus e intervenire di conseguenza. Ma qualcuno li avverte che l'equipe dell'Usca, le Unità speciali di continuità assistenziali, non arriveranno prima di lunedì, cioè cinque giorni più tardi. Intanto lunedì arriva, l'Usca invece no e non si sa bene per quale motivo. Il sindaco informa in tempo reale la famiglia Cirelli che l'equipe medica sta operando proprio sul territorio di Verbicaro.

Il guasto all'auto dell'Usca

L'Usca non sarebbe andata neppure il giorno seguente se il sindaco non avesse chiesto a un funzionario comunale di fare da autista all'equipe, andandola a prendere a Scalea, per poi riportarla in sede dopo aver svolto le operazioni. L'auto in uso al personale sanitario, infatti, in quei giorni risulta guasta. L'intervento del primo cittadino Francesco Silvestri riesce però a smuovere le acque e martedì, finalmente, la moglie di Michele e sua nonna vengono sottoposte a tampone domiciliare. Peccato soltanto che neppure questo servirà a sbrogliare la matassa. Da Cosenza fanno sapere che l'esito del test è incerto e pertanto non è possibile stabilire se le donne siano o meno positive al Covid. I giorni passano e la famiglia è ancora chiusa in casa, senza poter uscire e lavorare e sapere se e come intervenire nell'eventualità che si fossero manifestati i sintomi del contagio. «È come vivere nel limbo», precisa Michele durante l'intervista.

La vana richiesta di aiuto a Spirlì

Esasperato, Michele si rivolge al presidente facente funzioni della Regione Calabria, Nino Spirlì, al quale invia i suoi post di denuncia sui sociale network. Ma non ottiene alcuna risposta. «Mi sono permesso di informarlo - spiega l'uomo - perché lui dice che dobbiamo denunciare quando qualcosa non va, soprattutto nella sanità, ma io non ho visto e sentito nessuno».

15 giorni di attesa

Prima di cominciare a vedere la luce in fondo al tunnel, la famiglia di Michele deve attendere 15 giorni. Ieri, finalmente, la moglie e sua nonna sono state sottoposte a tampone e stavolta il risultato è stato netto: sono negative entrambe. Finalmente possono tirare un sospiro di sollievo. Ma solo loro due, perché per Michele e il suocero c'è ancora da aspettare. Per sottoporsi a tampone molecolare, e non al test rapido come quelli effettuati nei laboratori di zona, trattandosi di quarantena fiduciaria hanno scelto di recarsi in Campania, in un laboratorio di Sapri, 65 chilometri più in là. Il loro risultato arriverà giovedì. Nel frattempo la quarantena è finita.