La coordinatrice Jasmine Cristallo, ospite dei più importanti talk nazionali, è contesa dalle maggiori piazze elettorali del centrosinistra. Curiosamente invece è osteggiata proprio in Calabria
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L’altra sera abbiamo avuto modo di ascoltare nel corso del talk “dimartedì” su La7 Jasmine Cristallo, nota come la leader delle Sardine, il movimento della sinistra che l’anno scorso aveva rivitalizzato la campagna elettorale agonizzante contro la Lega in Emilia Romagna, regione simbolo per la sinistra italiana.
Jasmine Cristallo, è una donna colta, vivace, intelligente e nel corso della puntata del talk condotto da Giovanni Floris, insieme al direttore dell’Espresso Marco Damilano e al noto editorialista del Corriere della Sera Massimo Franco si è fatta valere confrontandosi con l’ex magistrato ed ex membro del Csm Piercamillo Davigo sul caso Amara.
La Cristallo, oltre ad essere invitata nei talk nazionali di peso, in queste ore, è anche contesa da diverse piazze elettorali del centrosinistra. Si è vista al fianco di Roberto Gualtieri a Roma, a Bologna con Matteo Lepore ed è attesa a Torino e Milano, dove sono previste iniziative elettorali. La Cristallo, dunque, è una voce ascoltata dalla sinistra di mezza Italia. È concreta, ha un eloquio asciutto e passionale, va dritta al nocciolo delle questioni. È diretta, non le manda dire e, soprattutto, nelle cose che afferma ci mette la faccia. È di sinistra. Orgogliosamente di sinistra.
L’altra sera, in diretta televisiva, nel confronto con Davigo, ha avuto modo di rappresentare una sinistra garantista, moderna e libertaria e non subalterna al giustizialismo forcaiolo di cui, da tempo ormai, gran parte della sinistra è intossicata. Insomma, Jasmine Cristallo è l’opposto di quella sinistra radical chic parolaia e inconcludente che ha trasportato la sinistra distante dalle esigenze popolari. È portatrice di un nuovo linguaggio di cui la sinistra contemporanea ha bisogno come il pane. Tali caratteristiche, evidentemente, sono molto apprezzate nel popolo progressista di tutta Italia.
Jasmine Cristallo è calabrese. In Calabria ci sono le elezioni regionali. Paradossalmente nelle iniziative della campagna elettorale del centrosinistra, della Cristallo, non c’è traccia. In Calabria, in particolare ai dirigenti del Pd a trazione commissariale, evidentemente, la Cristallo non piace. Le sue posizioni sono indigeste. Soprattutto all’oligarchia insediata nel Pd e che, da due anni, contabilizza solo disastri e sconfitte elettorali. Nemo profeta in patria? Assolutamente no. La Cristallo sarebbe graditissima profeta del popolo della sinistra calabrese e, tuttavia, quel popolo, è stato commissariato, è stata sospesa ogni forma di democrazia interna e tutte le decisioni sono in mano ad una oligarchia ristretta composta dal Pd + M5s.
Insomma quel popolo non conta nulla. A questa oligarchia, la Cristallo sta sul groppone. Ma cosa ha fatto di male la leader delle sardine per attirarsi tanta ostilità da parte del vertice piddiota calabrese? Sostanzialmente niente, ha solo osato dire e fare, quello che stuoli di dirigenti intermedi, vuoti segretari di circolo, gruppi di opportunisti e carrieristi annidati dietro i capi corrente di turno, non hanno avuto il coraggio (gli attributi?) e la libertà di attuare: ribellarsi alle scellerate decisioni di una dirigenza democrat che, per la seconda volta in meno di 24 mesi, apre la strada alla vittoria del centrodestra in questa regione.
La Cristallo, dunque, senza ipocrisie, ha semplicemente “osato” contestare metodi e scelte che hanno determinato la candidatura della Ventura prima e della Bruni dopo. Tutto qua. La leader delle sardine non ha taciuto. Non si è girata dall’altra parte. La Calabria però, a destra come a sinistra, nelle istituzioni, nel sistema dell’informazione e, anche in alcuni centri culturali, non è terra dove ci sia molto spazio per l’onestà intellettuale. E, infatti, appena qualcuno ha avuto l’ardire di contestare una oligarchia di burocrati che, da tempo, in Calabria, considerano il Pd solo uno strumento per il raggiungimento dei propri obiettivi personali ecco che, hanno fatto partire gli attacchi, gli insulti, le ire di qualche notista un tanto al chilo, imbeccato da ambienti democrat. La Cristallo è stata accusata di tutto. Di essere espressione di una sinistra da salotto. Di essere una radical chic. Insomma, è andato in scena il solito tentativo di demonizzazione in stile staliniano chi osa ribellarsi al “vertice”; Chi osa non omologarsi al “sistema”.
Questa vicenda ripropone un problema più generale: il Pd e il centrosinistra è ancora in grado di promuovere una classe dirigente adeguata? E, soprattutto, è ancora in grado di evitare la deriva politica e valoriale espressa da candidati della società civile che potranno pure essere brillanti imprenditori, professionisti, professori o scienziati, ma che non hanno la minima idea di cosa significa interpretare una visione politica? Pippo Callipo docet, ma è altrettanto evidente che, il ragionamento, vale anche per l’attuale candidata alla presidenza della regione per la colazione Pd+M5s.
La classe politica nel Pd, ormai, viene selezionata in maniera perversa, contraria alla visione collettiva che dovrebbe esprimere un partito politico. Il segnale più evidente è l’inamovibilità di alcuni dirigenti (capi corrente): a sinistra ma anche a destra, il personale politico è lo stesso da decenni. E ciò, nonostante scandali, sconfitte, evidente logoramento, tali dirigenti, sono sostenuti da una gran massa di accoliti opportunisti, avventurieri o semplicemente gente che non ha di meglio da fare che vivere di politica. Questo apparato di inamovibili e inconcludenti “professionisti” della politica, impedisce e paralizza il salutare ricambio della classe dirigente creando nel Pd un gattopardesco e pesante clima in cui si percepisce che i cambiamenti sono quasi sempre apparenti e illusori, rispetto a un sistema di potere opaco e vischioso. La candidatura della dottoressa Amalia Bruni, purtroppo, viene fuori da questo desolante contesto, dal quale, ovviamente, non è neutro il sistema Pd sul piano nazionale.
Il problema è che, questo “amalgama mal riuscito” di cui parlava Massimo D’Alema qualche tempo fa, non produce decisioni. O meglio produce, per autoalimentarsi, quelle decisioni utili ad autoriprodurre il sistema delle correnti in vista delle elezioni politiche. La battaglia delle regionali, è semplicemente una tappa per promuovere la carriera parlamentare del commissario del Pd, attraverso il consolidamento di una corrente, alla cui testa sono collocati Luca Lotti ex braccio destro di Matteo Renzi e Lorenzo Guerini, attuale Ministro della difesa.
L’epicentro di questo disegno diventa la lista del Pd della circoscrizione di Catanzaro, costruita esclusivamente per eleggere un consigliere regionale di quella corrente. Per tali motivi sono stati fatti fuori i potenziali concorrenti del “progetto Graziano”: Francesco Pitaro e Enzo Bruno. Le voci libere, in un sistema del genere, vengono demonizzate e allontanate, nella peggior tradizione stalinista (attuata, ironia della sorte, da un commissario avellinese di scuola demitiana sic). Quando delle formazioni politiche rinunciano a percorrere l’obiettivo di dare una visione culturale alla società, poi vengono fuori contraddizioni enormi, in alcuni casi, vere e proprie confusioni culturali e ideali.
Può succedere, infatti, che un candidato o una candidata di uno schieramento progressista possa tranquillamente affermare, senza che nessuno si scandalizzi, che il proprio modello di riferimento politico e culturale, sia la signora Margaret Thatcher. A questo punto sorge naturale chiedersi, e chiedere al Pd e al blocco progressista che ritiene di rappresentare: è lecito, idealmente e culturalmente indicare ai propri elettori come riferimento colei che è considerata storicamente l’icona del liberismo più feroce, cinico e spregiudicato degli anni '80, avversaria instancabile non solo del comunismo ma delle migliori socialdemocrazie europee, colei che, in Inghilterra, ha smantellato il welfare, mezza sanità pubblica, lasciato sul lastrico migliaia di minatori e lavoratori e a cui si sono ispirati generazioni di conservatori che hanno affermato il liberismo più spinto?
Chiarire questi aspetti, sciogliere questi nodi culturali dovrebbe essere l’obiettivo principale per tutte le forze politiche che vogliono dare un senso alla propria esistenza, ancor più, per una sinistra che intenda ritrovare le ragioni ideali del proprio cammino e della propria missione, sia individualmente, sia in maniera sistemica, un «progetto umano» ancor prima che politico che sia in grado di affrontare con successo le trasformazioni in atto nella società contemporanea. La sfida dovrebbe essere questa. Ma la sinistra contemporanea, in Italia e in Calabria, è in grado di affrontare una tale sfida?
Si renderebbe necessario riflettere seriamente sulla trasformazione dei partiti, sulle trasformazioni del sistema politico, tra quella che è stata la «democrazia dei partiti» del secolo scorso e l’irruzione della cosiddetta «democrazia del pubblico» (un modello di governo nel quale «gli elettori votano differentemente da un’elezione all’altra secondo la personalità dei candidati proposti alla loro scelta. Questo fenomeno segna una trasformazione rispetto a quello che era stato considerato come il comportamento normale degli elettori in una democrazia rappresentativa, i partiti continuano ad avere un ruolo centrale, ma tendono a diventare strumenti al servizio di un leader) nel corso degli ultimi decenni. Alcuni dirigenti, in buona fede, sostengono che una tale battaglia si rende necessaria ma solo dopo le elezioni regionali e amministrative, perpetuando così, il sistema del rinvio delle decisioni e delle discussioni. Un sistema che ha perpetuato alla guida del partito una classe dirigente pessima e, per certi aspetti, truffaldina. Il popolo del centrosinistra, dunque, non dopo, ma il 3 e il 4 ottobre si troverà di fronte ad un quesito non di poco conto: come intenderà estirpare questo tumore, con la Tachipirina (rinvio) oppure con il bisturi (matita elettorale)?