Hanno trascorso notti insonni, avvinti all’attesa spasmodica della musichetta di un iPhone che preannunciasse loro l’attenzione caritatevole del capobastone di riferimento. Disperati e smarriti, senza un orizzonte certo, hanno mendicato la sopravvivenza a bordo di una zattera elettorale, che li traesse in salvo dal disastro del Titanic. Uomini e donne di modestissimo calibro e di dubbio talento, le cui vite continuano a trascorrere inosservate e smunte.

Sono pallidi, malinconici. Grigi come il cielo londinese di Charles Dickens. Animati, a tratti, solo dal demone della "carrierruccia" di partito, quale premio d’obbedienza untuosa a questa o a quella parrocchia. Al netto di qualche splendida eccezione, i candidati al Parlamento sono la plastica citazione di un’antropologia pacchiana e tragica, spesso assistita da ventilazione meccanica nel listino bloccato ed iperbarico. Protetti e con il culo al riparo, alcuni approderanno a Chigi o a Palazzo Madama senza colpo ferire. Altri fingeranno di giocarserla nei collegi uninominali, pur sapendo di un destino già scritto. Quelli fuori dai giochi continueranno a frignare contro i vertici ingrati e cattivi. Dopo di che, batteranno cassa per un incarico risarcitorio.

In ogni caso, ciascuno in balia del proprio, sguaiato appetito. Ti diranno che è colpa del Rosatellum, che - però- non hanno osato cambiare. A noi cittadini sfigati, non sempre migliori di chi ci rappresenta, spetta comunque l'uscita in mare aperto. Il brivido epidermico della vita reale. Abbiamo mani, e menti, e cuori da schierare perché non ci sorprenda, d'improvviso, l'onda anomala. In bilico, a prua. A bordo del nostro nudo azzardo. Vinti o vincenti, ma- pur sempre- vivi. Loro, invece, inquilini terrei del Palazzo, non sanno cos'è il mare. La tempesta. L'onore della lotta, l'incedere ardito verso la tramontana. Vincenti senza gloria. Non più vivi.