Forza Italia coincide ontologicamente con il "corpo" atemporale di Berlusconi, è una sorta di metapartito. Indifferente alle mutevolezze degli indici di gradimento elettorale. Il suo potere contrattuale, infatti, risulta inversamente proporzionale al volume di consensi di cui gode presso la società italiana, che non può dirsi da golden share. Il dato appare oltremodo suffragato, oggi, dal tratto distintivo del governo Draghi, che ha rivitalizzato la formazione azzurra in chiave antisovranista.

Già mesi or sono, Silvio aveva incassato, e non a caso, il placet del suo storico nemico, De Benedetti, in nome di un'inedita corresponsione amorevole tra europeisti. E così, nonostante l’esiguità della dotazione di voti, la creatura del Cavaliere non sembra meritare, allo stato, la ragione sociale di Fiacca o Floscia Italia, il cui conio appartiene a chi scrive.

In Calabria, la prospettiva appare ancora più robusta: alle nostre latitudini, gli azzuri, secondo le proiezioni, surclasserebbero, in termini di bottino elettorale, sia la Lega che Fratelli d'Italia, la cui capacità di esprimere il candidato Presidente precipita progressivamente verso probabilità agoniche. A meno di colpi di scena dell'ultimo minuto. Del resto, il responso delle regionali del 2020 sembra confortare, laddove dovesse replicarsi, la tendenza qui tratteggiata. Nel gennaio dello scorso anno, Forza Italia e liste ancillari (Casa delle Libertà etc.) incassarono un ragguardevole successo.

Il voto, molecolarmente organizzato sul territorio attraverso relazioni capillari non suscettibili di erosione, restituì linfa vitale ai berluscones. In frantumi, contestualmente, le enormi aspettative della Lega, che riscosse la stessa audience di una replica di Charlie's Angels, in onda il 15 agosto su Telescasazza. Il Carroccio esercitò il medesimo appeal di una cover di Antonacci che canta Battiato. Lo stesso potere persuasivo e dirompente di una omelia alla calendula di Alberto Matano nel corso de L'eutanasia in diretta.

All'epoca, nonostante le promesse di una sorta di rivolta di Kiev, con Abramo alla testa di camionisti ucraini e botricellesi, Salvini non quagliò alcunché.Tanto meno fece la differenza cosiddetta "d'opinione". Intercettò poca roba. L'annuncio della discesa in campo di condottieri arditi, alla guida di un esercito di cicorie bolscevico-coriglianesi, sedusse solo due coltivatori diretti di Gardone Val Trompia. Parimenti, i consanguinei-fratelli fascioitalici  non fecero il botto. Sai com'è, quando non ti fai riprogrammare per tempo il genoma tosto a Salò, rischi di apparire un partitello moscio e senza mordente! Alla stregua di una scamorza uddiccina, per intenderci. Ora, però, si tratta di affrontare il nuovo giro di valzer, sempre che si voti ad ottobre. Per gli eredi meloniani d'Er pecora le cose potrebbero ulteriormente complicarsi, dopo l'insuccesso della terza via al tettaculismo, esperita dal dolcevitarolo Nicolazzi da Petilia, vinto dall'amarcord filmico della tabaccaia felliniana,  che riemerge all'improvviso dai calcinacci dell'inconscio.

Forza Italia, dal suo canto, rilancia e schiera l'autorevole Roberto Occhiuto, nato da una relazione tra Anthony Perkins e tre scudi crociati. L'attuale capogruppo azzurro alla Camera muove verso la Cittadella. Le cronache riferiscono di nutritissime legioni a suo sostegno. Si starebbe lavorando ad un numero esorbitante di liste. Miste, sincretiche, di variegata umanità. Perché nessuno immagini di potersi sottrarre alla "perversa", ineludibile asfissia del voto di preferenza. Alla contiguità "affettiva" e accudente dei candidati. Altro che  berlusconismo ontologico! O eternità democrista. La posta in gioco - sia detto con perfidia - oltre che l'ascesa a  Germaneto, riguarda l'egemonia forzista del centro-destra calabro.