Lo sguardo ironico di Antonella Grippo sugli effetti politici dell’entrata in scena calabra di De Magistris, che si appresta a “masaniellare” verso la Cittadella
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C’è più friccico nel "rigor mortis" anziché nella (inesistente) campagna elettorale per le regionali di Calabria. In verità, neanche l’annuncio di de Magistris, pronto a "masaniellare" alla volta della Cittadella, sembra aver trasferito un minimo di brivido caldo alla salma della politicanza nostrana. È pur vero che, sin qui, il centro-sinistra è stato costretto all’afasia dalla crisi del governo Conte, che, dopo lo straziante voto al Senato, sopravvive a se stesso, seppure in zona preagonica. Il Pd, del resto, nel dibattito parlamentare per la fiducia a Giuseppi, non è che abbia irradiato fuochi di talento politico.
L’impressione è quella di un agglomerato di controfigure senza identità, colto di sorpresa, nel difficile frangente, con le braghe ben al di sotto della cintola. Gregario e cortigiano, come le ancelle deputate all'allaccio dei corpetti strizzavita di Anna Bolena, per farsi poi gemito ansimante nell’alcova di Enrico VIII. Qui, però, non c’è alcun sovrano. Al massimo, un Conte solo nomen, ma senza omen. D’altro canto, se non hai voce, corpo e visione, sei destinato al triste rango di domestico a ore della pentastellanza, a sua volta tragicamente avvinta alla canna della pochette "tu non vuo’ fa l’americano” dell'uomo dei DPCM. E se a Roma tramonta definitivamente la parabola di un partito che sulla carta, e solo su quella, si professa riformista, nel senso più scientifico del termine (da non confondersi con "riformatore"), in Calabria le pezze al culo sono prossime all'eclatanza. A Roma, su giustizia, sviluppo, equità sociale, investimenti, infrastrutture, destinazione dei fondi europei, ancorché in era di pandemia, non un fremito dagli eredi delle culture postcomuniste, postdemocriste, parasocialiste confluite nel 2007 dentro l'allora nascente Partito Democratico.
Un sottoscopa così clamoroso, pari a quello evidenziato dai dem rispetto alle ragioni di un grillismo, per giunta non più cazzuto come ai primordi del Vaffa, non ha precedenti. Alle nostre latitudini, poi, per gli emissari indigeni di Zinga il "sottoscopa" rasenta il paradosso. A meno che qualcuno non tiri fuori i maroni. Cosa che sembrerebbe improbabile, stante l’abbraccio claustrofobico di Palazzo Chigi. Sennonché, l'ingresso in scena del duo De Magistris-Tansi, altrimenti detti "ne resterà solo uno", spariglia tutto lo sparigliabile.
Non è un mistero per alcuno che l'intento di Gigi e Carlo sia quello di confiscare il bacino d'utenza elettorale dei pentastellati, ai quali, rebus sic stantibus, non resterebbe che un'unica, ineludibile opzione: quella di convertire la rotta nella direzione dei riediti Bud Spencer e Terence Hill della morale pubblica. In verità, il nerboruto Ciccio Sapia, grillino doc, ha già messo le mani avanti :"Che ne sa De Magistris della Calabria?" E il Pd? Si illanguidirà ulteriormente, arrendendosi al nemico “populista, arancione, non liturgico” e abiurando se stesso, in nome di un’alleanza, già di per sè innaturale, con la genia di Grillo? Sicuramente no, a sentire Stefano Graziano: "quella di De Magistris è un'ingloriosa fuga dalla Campania." C'è di più: le varie istanze censorie issate da Bud e Terence contro "l'ancien regime" democrat. A questo punto, pare si voglia dispiegare la "potenza di fuoco" di cento sindaci per presidiare l'orgoglio patrio-civico di partito e di bandiera centro-sinistrata. Cento cerini in mano sono, pur sempre, meglio di uno. Fanno molto fiaccolata da piccole fiammiferaie. Alla Andersen, per intenderci.