Una storia di sessimo e abuso di potere. Una serie imperdibile che ci riporta a quando la stanza ovale era un via vai di stagiste e una di loro, Monica Lewinsky, finì vittima di un vero e proprio linciaggio mediatico
Tutti gli articoli di Innocenti Evasioni
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Sembra ieri eppure c’è da sentirsi vetusti come un Commodore 64 a spiare gli anni ’90 attraverso il buco della serratura di Impeachment, nuovissimo capitolo di American Crime Story che racconta l’epoca Clinton e il Sexgate. Una serie patinata ma soprattutto cotonata come Paula Jones che fu la prima a denunciare l’allora presidente degli Stati Uniti d’America per molestie.
La stanza ovale era un via e vieni di stagiste e impiegate ai tempi in cui il marito di Hillary era l’uomo più potente del mondo e probabilmente anche il sessualmente più attivo. Lo sceneggiato è un viaggio a ritroso nel tempo ma anche una revisione storica che ci rilegge i fatti (romanzati) attraverso la consapevolezza di oggi, complice certamente la partecipazione di Monica Lewinsky in qualità di consulente e produttrice dello show (che quindi propone una versione partigiana degli accadimenti) e l’avvento di #metoo.
Il racconto è un riscatto in differita di ciò che le femministe contemporanee chiamerebbero colpevolizzazione secondaria della vittima: una ragazza viene dapprima manipolata da un uomo potente e più vecchio e dopo esposta a linciaggio mediatico. Gli anchormen non le risparmiano battute offensive e imitazioni grottesche e dalla preistoria spuntano amanti che danno in pasto all’audience dettagli scabrosi della sua vita sessuale antecedente al caso. Tutto è lecito in questa storia di sesso (o «non propriamente sesso») e sessismo consumata nel tempio dei dem che in teoria sarebbero i good guys, quelli dalla parte delle donne.
La trama, in total stile Ryan Murphy, scorre succulenta come una telenovela. Da ingurgitare con plaid e pop corn al microwave tipo Linda Tripp (magistrale come al solito Sarah Paulson), l’impiegata del Pentagono che raccolse le confidenze della stagista invaghita del presidente per farne un best seller che avrebbe affrancato lei da una vita in penombra e distrutto i Clinton. Probabilmente l’unica donna al mondo più odiata di Hillary medesima (e ce ne vuole).
Ciò che avvenne in quegli anni che sembrano vicini ma sono trapassato come le diete a punti Weight Watchers ha la carica delle tragedie euripidee almeno per quanto concerne le protagoniste femminili: non ha scelta l’ex segretario di Stato umiliata mondialmente e “costretta” a rimanere accanto (e un passo indietro) al fedifrago per la sete di potere di entrambi per la quale lei però sarà detestata e lui adorato. Non si lascia il presidente degli Stati Uniti d’America, la repubblica occidentale dove essere moglie è una carica politica, ma quando resti nel letto di un traditore nessuno tiferà mai per te. Hillary è carnefice (partecipa attivamente alla caccia alle streghe in difesa del marito spingendo nel rogo le concubine) e vittima al contempo, cornuta, mazziata e condannata, in un mondo a misura d’uomo, ad essere first lady invece che presidente. Furono anni di enorme misoginia (non che ora vada meglio), il sangue che scorse tra tribunali fisici e mediatici fu tutto femminile. Ciò che si consumò a Washington forse non fu proprio sesso, come recitava la difesa di Bill Clinton all’elettorato puritano, ma certamente fu un abuso di potere. Una porcata indelebile come il liquido seminale rimasto sul vestito blu di una tirocinante il cui nome resterà per sempre legato a una fellatio mentre William Jefferson Clinton, assolto dal Senato, sarà il presidente più amato d’America.
Una serie imperdibile. Fate una scorta di junk food e correte su Fox a tifare Monica.