L’uomo è un animale abitudinario, si adatta persino alla prigionia. Lo realizzo con sgomento mentre il rumore dei media su contagi, ondate e lockdown mi disturba ma senza volerlo fa da sottofondo alle mie ore come quando in auto scopri d’essere sintonizzato su Radio Maria: non ricordi d’aver mai passato sulle frequenze ma la nenia t’accompagna da chilometri. Sarà per questo che volendo approfittare dei saldi sui costumi mi sono ritrovata in busta l’ennesimo pigiama. Un automatismo talmente inquietante che sono corsa a fare il reso cambiandolo con un body modellante perfetto per i venerdì notte di gennaio.

Per buon auspicio e per prendere a calci il pessimismo cosmico sbriciolatosi ormai in mera abitudine. Una seccatura a cui manco fai più caso come un buco nella tuta o certi programmi del pomeriggio dove le trombe dell’Apocalisse accompagnano il preludio dell’aperitivo. Che poi quando di aperitivi abuso, stanchezza e mal di testa mi fanno letteralmente delirare se il presagio funesto del letargo d’ottobre quasi quasi mi consola. Oddio, sono alla frutta: il mio istinto di sopravvivenza mi ha talmente plagiato che anche il blackout fa ormai parte dei miei automatismi. È gravissimo, mi ripeto mentre mi preparo alla scampagnata di giovedì ed intanto già programmo il digiuno intermittente d’autunno coadiuvato da coprifuoco e cancellazione di vita e cene.

Sono un caso da studiare io o è per tutti così?

 Ditemelo, perché davvero inizia a preoccuparmi il mio spirito d’adattamento se senza deciderlo mi ha fatto arrendere. Se la paura è diventata consuetudine, se la privazione di libertà quasi quasi è un buen retiro, se invece di ricercare nuove bollenti emozioni cerco vestaglie avvolgenti abbastanza da scaldare la mia clausura.

Come ne usciremo da questo guaio? Ne usciremo mai? Non parlo della pandemia ma del lockdown dello spirito pronto a spegnersi e riaccendersi a comando. Supino agli eventi che quasi quasi manco più li avverte come cataclismi ma quali necessità fisiologiche del corpo come mangiare, bere e fumare.

«Ci vorrebbe proprio una sigaretta dopo un rapporto immaginario consumato col mio carceriere», vaneggio mentre l’estate sta finendo e invece di approfittare dei saldi di stagione sui sentimenti scopro che potrei tranquillamente essere una di quelle detenute che s’innamora del guardiano. Così, per abitudine. Perché lo vede sempre lì e piano piano che sia un carnefice nemmeno ci fa più caso perché il metro quadro in cui è confinata è diventato il mondo.

Il mondo è divenuto talmente piccolo negli ultimi due anni che la mia stanza è una repubblica indipendente situata nei confini dell’Italia, come San Marino o il Vaticano. Aiutatemi, però, perché le leggi non le detto io ma mi dichiaro ufficialmente suddita delle psicosi se gli ultimi presunti stralci di libertà li spreco sproloquiando di tutoni e portieri di notte mentre là fuori c’è una guardia svizzera che attende solo di bloccarmi su Instagram.