Salvatore Murano: archeo-chef di Cirò Marina che coniuga la storia e la cultura con la migliore cucina. È considerato un’autorità nel campo ed è un profondo conoscitore del territorio e della sua millenaria storia.

Salvatore Murano è il cuoco della trattoria enoteca Max di Cirò Marina da oltre trent’anni. «La mia famiglia è al primo posto, insieme al mio lavoro e all’amore per il mio territorio che ho scelto di custodire e difendere mantenendo alto il prestigio, l’autostima del mio operato e utilizzando solo prodotti coltivati nell’agro di Cirò Marina, genuini ed unici, così genuini ed unici come chi ama coltivarli, contadini ed aziende straordinarie. Io ho solo il merito di renderli identitari e succulenti e di presentarli al consumatore finale integri e di bell’aspetto».

Non si può amare la cucina calabrese senza conoscere il territorio. «Esattamente. La conoscenza del territorio e delle materie prime giocano un ruolo fondamentale. Le alchimie in cucina sono il sale dell’intelletto del cuoco. Ho imparato a rispettare e a conoscere ogni singola primizia, ogni ortalizio, ogni pesce, ogni nota varietale d’olio, ogni formaggio, insaccati sempre più rari, attraverso gli occhi di un grande Maestro ideale, tutto quello che ho appreso me lo sono portato in cucina».

Salvatore Murano non è solo uno chef, un grande chef, ma è un archeo-chef perché ha saputo legare la storia antica alla cucina. Una gran bella impresa. «Salvatore Murano è un cuoco passionale innamorato del suo lavoro e della sua Cirò Marina. Grande non è lui ma le sue imprese, la “Curiositas” che lo spinge a promuovere e valorizzare la cucina calabrese legata a più periodi storici ed archeologici dal Neolitico, Enotria e della Magna Grecia in Calabria in Italia ed all’estero condividendo momenti unici di convivialità di alto livello. Ha saputo coniugare il suo passatempo più importante, la lettura dei classici e dei grandi viaggiatori, al lavoro quotidiano. Un’impresa titanica ma possibile grazie al suo mentore Elio Melena».

Oggi il modo di fare cucina è molto cambiato. Gli chef calabresi stanno cambiando volto alla Calabria. Ecco come Salvatore Murano fa cucina, come inventa i suoi piatti. «Non è difficile oggi fare cucina, quello che non è semplice è renderla unica. Ricerca e passione, materie prime stagionali di ottima qualità hanno reso la cucina calabrese importante. L’interpretazione è soggettiva.  La figura del cuoco è cambiata: la sua preparazione, lo studio delle ricette, scambiarsi opinioni, incontrarsi tra colleghi di più provincie calabresi ha creato sinergie importanti, questo è stato il cambiamento quello che ha dato lo slancio ad un’autentica cucina calabrese d’autore».  

Salvatore fa questo tipo di cucina. I suoi piatti esprimono il rispetto per gli ospiti e per il mare, per le materie prime che utilizza e per la natura circostante, nei suoi piatti la stagionalità è sovrana senza bisogno di inventare, si percepisce.

A Ciró Marina non si può non parlare di vino, che è anche cultura e storia. Al Max di Murano c’è posto e spazio anche per le associazioni culturali. «Il nome Cirò è legato al culto del vino da millenni, tante storie e tante leggende lo accompagnano, il legame è forse da ricercare nel mito e nel rito di fondazione della Sacra Krimisa, luogo che fu reso illustre dell’esule Troiano Filottete che approdò nei pressi di Punta Alice dove si trova il tempio di Apollo Aleo, e ove costui consacrò l’arco e le frecce avute in dono da Eracle, e che oggi identifica Cirò Marina. I ritrovamenti archeologici che attestano l’utilizzo del vino nell’area Cirotana risalgono all’ottavo secolo a.C., diversi utensili in bronzo e ceramica fanno bella mostra di sé nei musei del circondario; Cirò, Cirò Marina, Crotone testimoniano un rito antichissimo del Simposio. È da qui che prende corpo l’idea del gruppo denominato caminetto archeologico con sede nella trattoria con una sua location ben definita, questo spazio dedicato all’associazionismo spontaneo, dove trattare argomenti di carattere storico archeologico è un vero passatempo domenicale con cena a tema in chiusura per contestualizzare abbinamenti gastronomici ed enologici con le cantine di Cirò Marina e Cirò».

Questo splendido territorio, oggi Cirò Marina, è stata la culla della Magna Grecia. Ma in realtà esisteva prima. «Il territorio non è mai mutato, gli spazi dove gli Italici incontrarono per la prima volta i Greci in nome del Dio Apollo è rimasto uguale, una radura dove si ergeva maestoso lo stilobate in stile dorico che per i millenni è stato il faro per il popolo del mare, l’unico tempio in Magna Grecia conservò la statua di culto, e attualmente custodita nella sala dedicata a Krimisa nel museo di Reggio Calabria. Le alture intorno a Cirò Marina profumano di lecci e lentischio, sparsi sono i pistacchi selvatici, gli ulivi millenari sono sentinella di un glorioso passato, dove migliaia di pellegrini da ogni dove rendevano omaggio ad Apollo e a Demetra. La vite ricorda un culto che esisteva molti anni prima dei Greci Grandi ed ancora con dovizia e rispetto viene coltivata».

Qui domina il vino. Ma anche il mare. Qui c’è un pesce particolare che ha una grande importanza per il territorio e la sua storia. «Il vino a Cirò Marina è sicuramente il motivo di tanti piccoli e grandi produttori che coltivano il Gaglioppo ed il Greco Bianco da almeno 2500 anni, il prodotto lordo stimato di produzione vinicola calabrese è di circa 85% di tutta la Regione. Il mare, dove ancora oggi gli studiosi vorrebbero ammirare “Ogigia”, il mare che diventò nostrum con l’arrivo dalla potente flotta romana. Ma il pesce di cui vi voglio parlare oggi è un pesce straordinario un pesce che racchiude in sé tutto il racconto un pesce millenario. Sua signora la Lampuga già nota le molto apprezzata dal popolo Miceneo tanto che un affresco del palazzo di Cnosso ritrae un ragazzo che porta sulle spalle un carniere di Lampughe nel loro colore blu e giallo, conservato benissimo. Si pesca ancora oggi, la Lampuga, con le stesse tecniche millenari, le frescure, dove i pesci che solcano rotte migratorie lunghissime si fermano in mezzo al mare all’ombra cosi l’ombra ricavata con grande foglie di palma legate tra loro diventano luogo di cattura dell’immortale pesce».