I due atti della saga con Uma Thurman arrivarono nelle sale italiane nell’ottobre del 2003. In attesa di quella che sarà l’ultima opera del regista, The Movie Critic, ricordiamo lo stracult dell'autore di Knoxville
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La divina arte dell’ispirarsi senza copiare, la conosce tanto bene Quentin Tarantino da averne fatto un manifesto, di quelli strappati ai bordi, in un angolo di cinema di periferia mezzo scassato. Non nascondere, ma spiegare chi e cosa muove le sue storie, che semi ha sparso nella sua mente per farne venire su piante carnivore succulente, per poi raccontare una storia a modo suo, è questa la sua filosofia.
- Sai come chiamano un quarto di libbra con formaggio in Francia?
- No.
- Diglielo, Vincent!
- “Royale con formaggio”.
- “Royale con formaggio”! E sai perché lo chiamano così?
- Per il sistema metrico decimale.
Raffica di battute rapide, come pistolettate a mezzogiorno. È un dialogo tratto da “Pulp Fiction”, roba da maestri, gran maestri, che sanno cos’è il ritmo quando prendono una penna in mano. A sentir parlare Tarantino, nelle interviste, viene facile capire che parla come scrive, al modo dei suoi personaggi: rapido, senza fronzoli, racconta cose interessanti e poi agita la mano, come a scacciare una mosca, e la chiude lì. Lui è i suoi personaggi, in parte almeno. Li ama tutti, li conserva tutti e non li dimentica, come non dimentica la giovinezza nel quartieraccio a South Bay, che nei suoi film, come fanno i sogni con i ricordi, torna rimescolato con quelle facce sgretolate della periferia con cui era meglio non averci a che fare. Non dimentica, così come ha fatto per “Kill Bill”, che compie ora un anniversario tondo, vent’anni di già (e le sneaker Onitsuka Tiger Mexico 66 sono già tornate in auge per l'occasione).
C'era una volta una battuta
Doveva essere una battuta di “Pulp Fiction”, poi è diventata una discussione con Uma Thurman davanti a una birra, poi è saltata su un foglio di carta ed ecco il progetto. Ed ecco l’idea di un film. Una sposa imbrattata di sangue giù a Pasadena. Poi più niente. Beatrix Kiddo è rimasta ad aspettare, prima che la sua vendetta, la sua nascita. Intanto Tarantino è finito nella Seconda Guerra mondiale, a preparare “Bastardi senza gloria”, ispirandosi a Enzo Castellari e al suo “Quel maledetto treno blindato”, che sarebbe uscito molto dopo. E dopo, rieccola Beatrix, riecco Uma e Tarantino, riecco le Vipere e un tramezzino da tagliare ai bordi, un manga a spiegare come nasce un’assassina, la quiete di un giardino zen con una testa mozzata di netto.
Donne guerriere
“Kill Bill”, è stato il quinto film del prodigio di Hollywood, che usa Hollywood, che guadagna con Hollywood, che ha lasciato le sue impronte a Hollywood e che a Hollywood ha dedicato il suo film più “tenero” (tra virgolette abbastanza grandi): “C’era una volta a… Hollywood”, per l’appunto.
Il regista di Knoxville, nato in Tennesse e cresciuto al sole californiano di Torrance, con sangue italiano nelle vene, per parte di un padre, Tony (attore dilettante del Queens che non ha mai conosciuto), le donne le ha sempre vestite da guerriere. Anche quando la parte della vittima era già scritta, o così sembrava (leggi Grindhouse), Tarantino le ha mutate in carnefici, arrivando persino a cambiare il corso della storia pur di salvarle (leggi Margot Robbie nei panni di Sharon Tate).
Due capitoli e una katana
In “Kill Bill”, uscito nelle sale italiane il 24 ottobre di vent’anni fa (correva il lontano 2003), Uma Thurman con la katana in una mano e una lista di persone da far fuori nell’altra, si muove tra la polvere del deserto messicano e le lame giapponesi di Hattori Hanzo, pur di farsi giustizia da sé.
Il film è diviso in capitoli e in due Volumi, usciti a distanza di un anno. Al volante della Pussy Wagon (di proprietà dello stesso Tarantino che l’ha data in prestito per le riprese dei videoclip di Missy Elliott, Lady Gaga e Beyoncé) c’è Beatrix Kiddo, detta “La Sposa”. Lei cerca Bill (il compianto David Carradine che prese il posto di Warren Beatty all’ultimo momento), autore del massacro di Pasadena nel giorno delle sue nozze, e la squadra di Vipere Mortali che hanno aperto il fuoco massacrando suo marito e i suoi amici e riducendo lei in fin di vita, nonostante fosse incinta. Millesettecento litri di sangue finto sono bastati a Tarantino per girare una storia perfetta per costruzione, regia, soggetto, fotografia, follia, tutto insomma. Una ventata di avventurosa violenza, mista a una colonna sonora portentosa (dal motivo di “Twisted Nerve” fischiettato in corsia dalla guercia Elle Driver al “Bang Bang” di Nancy Sinatra).
Tutto iniziò da Bambi
L’arte della guerra - che ricorre, in modi diversi, nei suoi film - è incisa a fuoco nel suo nome, Quentin, che sua madre Connie attinse da Quint Asper, il personaggio di Burt Reynolds in “Gunsmoke”. La sua ossessione per le mani, i piedi e i cereali, invece, sono roba cresciuta al sole dell’adolescenza, così come la passione per i western, le inquadrature dal basso e i lunghi, lunghi piani sequenza. Forse davvero tutto nacque da quel negozio di videocassette dove finì a fare il commesso, forse il trauma subito al cinema quando il suo patrigno Curt lo portò a vedere “Bambi”, fu tanto forte da smuovergli qualcosa dentro, sta di fatto che Tarantino ha finito per consumare i suoi anni della giovinezza in sala a godersi i western di Sergio Leone, per cui provava una stima infinita, così come per le musiche di Ennio Morricone, i b-movie italiani (e le sue attrici).
È il regista stracult per eccellenza, quello dei font anni 70, delle graffiature simil-pellicola vintage sugli opening credit, dei film d’exploitation, che ha gravitato sull’horror, sul western, volando sulle spade di Kurosawa. Col suo partner in crime Rodriguez, ha spartito la realizzazione di diversi film (“Grindhouse” e “Dal tramonto all’alba”, "Desperado"), a lui Tarantino prestò le spade degli 88 Folli per fargli girare “Sin City”. Adesso si attende l’ultimo film, così dice, che chiuderà il suo personale cerchio filmico, cominciato dietro la macchina da presa nel 1992 con “Le Iene”.
L’ultimo film nel 2024
“The Movie Critic” uscirà l’anno prossimo (scioperi permettendo) e sarà girato in California, come fu per il suo film di debutto. La storia dovrebbe avere come protagonista un giornalista che firmava recensioni cinematografiche su una rivista porno, un uomo che non conobbe mai il successo, un critico da ultimo banco, morto per l’alcol a quarant’anni. Dunque con il dodicesimo film, Tarantino ha deciso di appendere l’obiettivo al chiodo, anche se qualcuno potrebbe bussare alla sua porta, chiedere di lui e recitare un passo di Ezechiele 25:17.