Sulla prima statuetta italiana - andata perduta dopo la morte del direttore della fotografia cosentino - la società di produzione Open Fields sta realizzando un documentario in uscita nel 2022
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Ci sono storie che sono film già scritti e fatti. Nel caso di Tony Gaudio, leggendario direttore della fotografia cosentino, il primo a far arrivare nel Belpaese una statuetta anticipando di ben 11 anni Vittorio De Sica, che riuscì nell’impresa con “Sciuscià” nel 1947, la sua vita si intreccia con un mistero che parte dalla Calabria e arriva fino in Texas.
Della sua vita conosciamo quasi tutto. La nascita a Cosenza, la bottega incastonata nei vicoli della città vecchia, l’insegna verniciata in nero: “Foto Gaudio” che si inarca sull’angolo di due vie, l’emigrazione verso l’America.
Tony, al secolo Gaetano Antonio, ha una data di nascita di due secoli fa: 1883. Insieme col fratello più piccolo, Eugenio, parte per gli Stati Uniti giovanissimo. Ha solo 23 anni e una voglia matta di mangiarsi il mondo, il nuovo mondo di cui arrivano sprazzi di luce dagli schermi dei rari cinema.
Col mestiere del padre nelle mani, riescono entrambi a mettere un piede negli Studios di Hollywood. Dieci anni dopo, Antonio, diventato Tony, ed Eugenio, diventato Eugene, lavorano in pianta stabile per la Metro. Sono anni felici prima della scomparsa prematura di Eugenio per una peritonite che se lo porta via a soli 33 anni.
Tony si butta sul lavoro, gettando anima e cuore all’American Society of Cinematographers, e ritagliandosi un posto al sole come direttore della fotografia per la Warner Bros.
Il 6 marzo del 1937, sono tutti in ghingheri al Biltmore Bowl del Biltmore Hotel. Tony è lì a sfilare e prendere posto in platea. A condurre la notte degli Oscar è il cantante George Jessel. Frank Capra la spunta su William Wyler, e Paul Muni su Gary Cooper e Spencer Tracy. Poi l’annuncio. Per la migliore fotografia l’Oscar va a Gaetano Gaudio per il film “Avorio Nero”.
Da quel momento Gaetano Antonio, detto Tony, divenne il più ricercato dalle dive. Tutte volevano che fosse lui a illuminarle. Bette Davis fu la sua affezionata musa che non lo lasciò andare per ben 11 anni. Con lei sullo schermo, Tony agguantò la sua terza nomination all’Oscar con “Il conquistatore del Messico”. Ma anche la Garbo si contese la sua attenzione così come la regina del muto Norma Talmadge.
Sessantenne, con un divorzio chiacchieratissimo alle spalle (lasciò nel 1951 la prima moglie Rosina, originaria di Amantea, per una donna americana, di cui si era perdutamente innamorato, scandalizzando gli States) si rifugiò nel suo buen ritiro texano.
Ed è proprio lì che nasce il mistero. Dopo la sua morte, il suo Oscar scomparve nel nulla. Neppure gli eredi sono riusciti a rintracciare la statuetta, nonostante gli sforzi e varie ricerche andate a vuoto. La società di produzione calabrese Open Fields da mesi sta lavorando su un documentario, che dovrebbe uscire a cavallo tra il 2021 e il 2022, che racconterà proprio di un viaggio alla ricerca della statuetta perduta che, come una diva d'altri tempi, prima ha illuminato il palco e poi è svanita chissà dove.