Il treno, un modello C-62, con i pistoni oliati, animati dal fiato del vapore caldo nascente nelle fornaci, parte con un ultimo fischio. Tutti in carrozza, bisogna andare, il futuro è troppo veloce per raggiungerlo a piedi. Il 999 è lungo, snodato, con una testa che pare un comandante, così lo disegnerebbe un bambino sul quaderno. 

Il convoglio lascia la stazione, la nostra infanzia. È il 9 aprile del 1981. Con uno sbuffo in un cielo di vaniglia, il Galaxy Express 999 sparisce e con lui la cartolina di un futuro che stiamo vivendo, diverso da quello che 40 anni fa immaginavano i suoi creatori.

Non c’è mai un momento in cui si percepisce il passaggio da un tempo a un altro, è un lento abbandonare le gambe coraggiose del bambino per indossare quelle solide e più dure dei grandi che non si sbucciano ma si feriscono e basta.

Scivolando sul terreno rosa confetto degli “shoujo”, confezionati per le ragazze, le atmosfere nei canali televisivi dei primi anni Ottanta si velavano di nebbia. Tutto sembrava più vero. Buio ma invitante.

Inghiottito dal nero di un universo punteggiato da asteroidi bianchi come pezzi d’osso, il Galaxy Express 999 (Ginga Tetsudou 999) partì in Italia il 18 aprile del 1979 su Telecity, rimanendo sempre al di fuori delle reti nazionali, confinato negli orari tappa-buchi delle televendite di gioielli di bassa lega.

Siamo sulla Terra, anno 2021. Il presente nel futuro del manga. Un ragazzino, Tetsuro, assiste all’uccisione cruenta della madre assassinata da un ricco potente dal corpo meccanico. Da quel giorno l’unico scopo della sua vita sarà vendicare la morte della donna,  atterrare sul pianeta Andromeda e farsi costruire un corpo robotico che la morte non possa sfiorare.

L’unico mezzo per raggiungere la destinazione è il treno Galaxy Express999 sul quale conoscerà Maetel, un angelo dalla chioma dorata infinita e il colbacco nero in testa. Quello di Tetsuro sarà un viaggio lungo 113 episodi, una crescita crudele virata di rabbia, povertà e vendetta. Quello dell’anime è un Universo che ha il sapore metallico del sangue versato sulla polvere delle costellazioni dagli androidi a caccia di uomini e che poco ha di favolistico e morbido.

Supportato in Italia da una sigla degli inossidabili Oliver Onions (che poi verrà ricalibrata nel film con Bud Spencer “Bomber”), l’anime ha lo stesso sapore di deriva e malinconia del Blade Runner di Ridley Scott, rimandando a un'esperienza visiva, in bilico tra steam-punk, cyber punk, e costruzioni nipponiche retro futuristiche, dei sci-fi d'autore. Galaxy aveva un tocco di follia e disperazione incrostato nel panorama di lune decadenti, città post-atomiche ingabbiate da fredde strutture metalliche e macchine volanti e, ai margini, fumose locande di sushi che sapevano di dopoguerra.

Come fantasmi si muovono comparse e cattivi: personaggi di margine senza denti, maschere di guerrieri con le orbite cadaveriche, cecchini oscuri che spaccano le vite, volti spazzati dal vento cosmico disegnati sulle dune. È il mondo dei bambini, che brulica di timori che i grandi non riescono a illuminare, scaldare, loro sono gli eroi e allo stesso tempo gli sperduti orfani della loro fantasia. 

Si cammina con la speranza alle spalle, la voglia di vincere una morte che non si riesce a spiegare, con cui non si può ragionare, lungo un corridoio oscuro di mostri che, da piccoli, sembrano giganteschi e reali anche se sono solo ombre cinesi che spariscono all'alba quando il nostro treno è partito da un pezzo.