Non si può che parlarne bene. L’ambientazione è strepitosa: un transatlantico di fine ‘800 attraversa un Oceano ondoso in rotta verso uno strappo spazio-temporale. Dagli autori di “Dark” - elogiatissimo (a merito) esperimento che ancora stupisce per gli incastri con cui è riuscito a intrappolare lo spettatore - ci si aspettava una rete narrativa di grande impatto visivo. Da questo punto di vista nessuno è rimasto deluso.

Da mesi, attraverso golosissime anteprime fotografiche, Baran bo Odar e Jantje Friese, la coppia di autori della serie tedesca, avevano messo l’acquolina in bocca ai fan orfani delle vicende di Winden. Al termine della prima stagione di “1899”, (dovrebbero essercene altre due sempre su Netflix), ci si trova davanti a un paradosso: quello che vediamo piace tanto ma forse non dovrebbe. Gioca sul giudizio l’accuratezza del contenitore, meno la solidità del narrato che di sorprese ne ha poche in serbo e non di così grande effetto.

Il gioco delle illusioni

La trama è abbastanza intricata e fare chiarezza su quello che ci propone davvero questa storia, al netto dell’estetica, è cruciale. C’è questa nave, la Kerberos (il traghettatore infernale), che nel 1899 lascia le coste europee diretta a New York. Abbiamo un comandante tormentato da un grosso lutto da cui non riesce a riprendersi, una dottoressa in cerca del fratello scomparso, un gruppo di viaggiatori di terza classe (poveri, arrabbiati e con una sfumatura di fanatismo religioso che non guasta), una coppia di francesi depressa, una coppia di amanti gay, una geisha accompagnata da sua madre, una maitresse. Intorno a loro ruota l’orbita dell’azione e del mistero in cui l'llusione è lo specchio che riflette gli altri. 

I fantasmi della Ourang Medan

Il viaggio della Kerberos e il fortuito incontro con una nave data per dispersa, il Prometheus, segneranno il destino dei viaggiatori. La storia sembra ricordare alla lontana il mito della nave olandese Ourang Medan. Accenniamolo.

Nel giugno del ’47 alcune navi battenti bandiera statunitense ricevettero in linguaggio morse una richiesta di aiuto. Dal piroscafo olandese in avaria informavano che a bordo erano tutti misteriosamente morti. L’unico a essere sopravvissuto alla mattanza, riuscì a comunicare un’ultima frase: «Sto morendo anche io… aiutatemi». La Ourang Medan finì avvolta dalle fiamme e anche la sua stessa esistenza venne messa in dubbio dalle cronache che seguirono.

Ecco, in “1899” ci sono molti punti in comune con quella vecchia storia. Un bambino, unico superstite della Prometheus, diventerà la chiave di volta per aprire a un mistero che scorre su vari livelli temporali e spaziali in un dentro-fuori la realtà apparente, che gioca col sogno e le illusioni della mente.

La super tecnologia del Volume

La produzione ha fatto, anche stavolta, le cose in grande regalando un’esperienza visiva notevole. Questo grazie all’impiego della Volume Technology (su Netflix è possibile visionare lo speciale che racconta il dietro le quinte) una sorta di schermo circolare gigantesco che ha permesso la costruzione di sequenze estremamente realistiche senza spostarsi dagli studi. Parlando del cast troviamo una vecchia conoscenza dei fan di “Dark”, l’attore tedesco Andreas Pietschmann, e altri interpreti di diverse nazionalità (Aneurin Barnard, visto in Dunkirk e Miguel Bernardeau in Elite) che hanno recitato nella propria lingua per rendere al massimo il realismo dei passeggeri, provenienti da differenti Paesi, che faticano a farsi comprendere a bordo.

La strada tracciata dagli autori, che hanno cominciato la scrittura di questa serie già nel 2018, è quella del grande inganno, un po’ Mago di Oz e un po’ Lost, in cui il tempo e lo spazio sono convenzioni in cui è facile impantanarsi convincendosi di essere in un posto e in un momento. Cosa ne sarà del pugno di viaggiatori che guardano l’alba sul mare dell’inconscio, lo scopriremo se e quando la seconda stagione arriverà a svelare (o a complicare ulteriormente) la storia e quello che nasconde. Nel frattempo resta quella sensazione di non riuscire più a stupirsi abbastanza, che “1899” sia una splendida nave, zeppa di magnifiche ombre, che potrebbero essere più interessanti della luce che le allunga.