AUDIO ESCLUSIVO | L’intervento completo del capo politico del M5s che nella città dei Bruzi ha incontrato a porte chiuse i militanti calabresi. Tanti gli argomenti toccati, dal braccio di ferro continuo a Palazzo Chigi ai motivi che mettono a rischio la giunta comunale di Torino, dagli iscritti che seminano zizzania all’autocritica per quella che ha definito «un'ipocrisia di fondo del Movimento»
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«Ogni volta che si deve approvare una legge, ci dobbiamo sedere a un tavolo io, Conte e quello là… e dobbiamo fare un accordo». “Quello là” è Matteo Salvini, spina nel fianco del Movimento cinquestelle e nemesi di Luigi Di Maio, ieri a Cosenza per incontrare circa 500 iscritti nel corso di un’assemblea blindata. Dentro vietato l’uso dei cellullari, niente telecamere e giornalisti guardati come al solito con sospetto. Un approccio lontano anni luce dagli albori dello streaming prima di tutto, principio ormai archiviato come un peccato di gioventù, che nel 2013 costò una cocente umiliazione a Pier Luigi Bersani, allora segretario del Pd uscito “quasi vincente” dalle elezioni del 24 e 25 febbraio, che accettò di essere sbertucciato in diretta streaming da Roberta Lombardi e Vito Crimi, nel vano tentativo di imbastire un accordo di maggioranza.
Oggi che il M5s è al governo del Paese gli incontri si fanno a porte chiuse. Ma la rete ha mille rivoli.
Ecco, dunque, cosa ha detto Di Maio in quell’ora di monologo, prima di passare la parola ai 120 interventi programmati.
Basta email, c’è il facilitatore
Il facilitatore regionale sarà la nuova figura chiave dell’organizzazione a 5stelle. Di Maio ha spiegato che il suo compito sarà quello di offrire una sintesi operativa della linea politica del movimento che verrà decisa altrove. Una descrizione che in alcuni momenti sembrava evocare una sorta di “commissario governativo”.
«Ogni giorno – ha detto il vicepremier - mi arrivano 800 email che parlano di problemi sul territorio. Due terzi sono richieste d’aiuto che non riguardano il governo centrale. La nuova organizzazione del Movimento dovrà mettere al centro il facilitatore regionale che dovrà avere una grande capacità progettuale, per tradurre in iniziative e proposte concrete le istanze che giungono dai territori».
Non vi scannate, che i nuovi scappano
«Tra le nostre fila ci sono sempre meno giovani, al Nord in particolare, forse perché li abbiamo fatti eleggere tutti. Ma il problema riguarda chiunque voglia avvicinarsi al Movimento. Capita, ad esempio, che uno decida di andare a una riunione del meet up locale. Arriva e almeno nella metà dei casi (a voler essere ottimisti) trova gli altri che si stanno scannando sul fatto che nella riunione precedente si è deciso di non decidere. Ci sono guerre che si susseguono, fratricide, come le vecchie faide che c’erano in alcune regioni. Il nuovo arrivato vorrebbe intervenire ma gli impediscono di parlare: “Stai zitto tu, che sei appena arrivato, noi ci siamo qua da 10 anni”. I nuovi attivisti così si demotivano. I nuovi vanno accolti bene. Se dovessero contare e parlare solo quelli che ci stanno da 10 anni nel Movimento, saremmo ancora al 3 per cento».
Tanti voti, pochi attivisti
«Gli attivisti Cinquestelle in Italia, compresi gli eletti, sono 8mila, a fronte di 11 milioni di persone che ci hanno votato alle politiche del 2018, il nostro picco più alto. Dobbiamo decidere se chiuderci in quegli 8mila, tra duri e puri, o cercare di coinvolgere e attivare anche quegli 11 milioni. Quando avremo i facilitatori regionali mi piacerebbe che si facciano riunioni mensili con i nuovi arrivati. Noi abbiamo eletto tutti e, permettetemi, anche un po’ di tutto».
Un grande albero con radici deboli
Il consolidamento a livello territoriale è uno dei tasti che il vicepremier ha battuto più spesso nel corso del suo intervento.
«Sulle comunali abbiamo collezionato sonore sconfitte – ha ammesso -, ma oggi non stiamo lavorando per pendere più voti, ma per radicarci. Ora siamo come un albero dalla folta chioma (gli eletti) ma con le radici deboli (i territori). Un albero così può essere spazzato via alla prima burrasca, ecco perché dobbiamo affondare di più le nostre radici».
Ipocrisia di fondo
«Siamo il movimento più verticistico del mondo - ha affermato senza remore Di Maio -. C’è un capo politico, che sono io, che dovrebbe essere onnisciente e onnipresente per fare tutto quello che gli si chiede. Così non può funzionare. Se è successo questo è per una nostra ipocrisia di fondo, quella per la quale non ci siamo dati regole, statuto e un'organizzazione all’altezza. Così, spesso succede che la linea venga dettata da chi si trova in quel momento a parlare. Invece, ci deve essere una linea politica univoca. Anche a questo serviranno i facilitatori, che dovranno fare da collegamento tra Roma e i territori».
Zero mandati
Il “mandato zero”, che deroga alla regola di due mandati, è l’argomento del giorno. Per spiegarlo Di Maio cerca di fare leva anche sul lato umano: lo stato d’animo di chi ha dato tanto ma rischia di essere mandato a casa prima di essere riuscito a contare davvero qualcosa.
«I consiglieri comunali che sono stati all’opposizione hanno un bagaglio di esperienza enorme che non possiamo disperdere – ha detto -. Un’esperienza che hanno accumulato anche perché spesso sono soli e non hanno avuto un gruppo su cui contare e con il quale condividere le difficoltà. Alle elezioni devono combattere contro decine di liste avversarie e spesso sono perdenti in partenza. Ovvio che al secondo tentativo andato a vuoto subentri anche una sorta di disagio umano. Il divieto di venir candidati dopo il secondo mandato è nato per evitare che si accumulasse potere e ricchezza, ma cosa volete che guadagni un consigliere comunale all’opposizione? Il potere lo subisce non l’esercita, quindi è giusto che possa riprovare senza disperdere la sua esperienza».
Fondi di “partito”
«A chi mi chiede perché non apriamo sedi locali e non finanziamo le iniziative sul territorio, rispondo che arriverà il tempo anche per queste cose. Ci sono cose che si fanno a 10 anni e cose che si possono fare a 20, noi ne abbiamo 10. Se oggi finanziassimo le iniziative locali, con la scarsa organizzazione che abbiamo finirebbe male, perché attireremmo quelli interessati solo ai soldi».
No alle liste civiche. Anzi, Sì
«Le liste civiche – ha spiegato il capo politico del Movimento - di solito nascono due mesi prima delle elezioni e muoiono il giorno dopo. Quindi in linea di principio sono contrario. Ma esistono associazioni e movimenti con i quali magari lavoriamo fianco a fianco per anni, poi arrivano le elezioni e, per le nostre regole, loro non si possono candidare con noi, noi non ci possiamo candidare con loro. Andiamo separati e i voti si disperdono. Quindi dove c’è una comprovata esperienza di lavoro insieme, la lista civica può avere un senso, ma se qualcuno pensa che siamo pronti a fare ammucchiate si sbaglia».
Governo giallo-verde… di rabbia
Di Maio non si fa problemi a sparare ad alzo zero contro l’alleato di governo. «A volte – ha confessato – siamo costretti a subire l’atteggiamento della Lega che è insopportabile. Ma dopo le elezioni non avevamo alternativa: o andavamo all’opposizione o cercavamo di portare a casa il più possibile nelle peggiori condizioni. Ogni volta che si deve approvare un provvedimento, in Parlamento o in Consiglio dei ministri, ci dobbiamo sedere a un tavolo io, Conte e quell’altro là e dobbiamo fare un accordo. Ogni volta. Quando ti siedi a quel tavolo non puoi pretendere, perché se lo fai anche l’altro pretende e non si porta a casa niente. Se non esistesse questo contratto con la Lega, in Parlamento ci sarebbe ancora un partito unico, quello a favore di Radio radicale e della Tav».
Destra e sinistra uguali sono
«Questi – ha detto Di Maio riferendosi un po’ a tutti - per differenziarsi in destra e sinistra usano un solo tema, che è la più grande presa per il culo: l’immigrazione. Poi su tutto il resto sono sempre d’accordo, la divisione gli serve solo per fare lo show. E su questo tema tanti ci campano, pure qualcuno dei nostri».
Perché il governo non cade
Tema delicatissimo, quello della tenuta del governo, che vede Di Maio rivendicare la scelta di non aprire la crisi.
«In questo momento - spiega - il partito unico non vede l’ora di far cadere il governo, perché a settembre si vota sul taglio dei parlamentari. Io però nel frattempo mi prendo i vaffanculo di chi dice che faccio gli accordi con Salvini. A me farebbe pure comodo far cadere il governo, perché nonostante la regola dei due mandati resterei comunque il capo politico, ma penso ai risultati da ottenere da qui a dicembre: taglio del cuneo fiscale, riduzione canore Rai, acqua pubblica, taglio dei parlamentari».
Troppe cariche? Servono
«Spesso – ha continuato Di Maio - mi dicono di lasciare qualche carica, perché sono troppe. Ma se oggi lasciassimo qualche ministero, andrebbe agli altri. Inoltre, quando mi siedo a quel famoso tavolo per trovare un accordo con la Lega, ho di fronte un ministro che è anche leader politico del suo partito. Ci siamo limitati a replicare questo schema per avere altrettanta forza decisionale».
Torino val bene una messa
Altro dente che duole: la tenuta della giunta Appendino a Torino, minacciata dagli stessi consiglieri grillini di maggioranza. Nell’incontro di Cosenza Di Maio ha rimarcato il suo pieno sostegno al sindaco cinquestelle.
«Chiara mi ha raccontato – ha riferito Di Maio - che uno dei motivi per quali rischia di cadere il Comune è che i consiglieri di maggioranza non le vogliono far istallare le telecamere di sorveglianza nelle periferie della città, perché farlo è ritenuto di destra. Questo ci ucciderà. Se diventiamo ideologici siamo finiti».
Le grane della piattaforma Rousseau
Il sistema di partecipazione online del Movimento fa ancora acqua da tutte le parti e il leader pentastellato non lo nasconde.
«Lo so che la nostra piattaforma ha tanti problemi - dice -, e questi scatenano tutti i dietrologi. Ma stiamo mettendo a posto le cose. Ora non si blocca più e possiamo tracciare chi vota “in cordata”, ad esempio se lo fanno in gruppo da uno stesso luogo. Quando ce ne accorgiamo, interveniamo anche invalidando l’elezione di chi ha vinto in maniera sporca».
Fuori chi rompe
«Nel corso della riorganizzazione del Movimento elimineremo un bel po’ di iscritti che mettono solo zizzania», assicura Di Maio, spiegando perché la “pulizia” interna arranca. «Il collegio dei probiviri nell’ultimo anno non ha lavorato molto - ha detto - perché i probiviri sono diventati ministri. Ci sono arrivate 1800 segnalazioni da voi e ci sono 320 escussioni ancora da fare. Ma ora è tempo di riprendere l’attività di pulizia perché siamo a un punto di non ritorno e non possiamo restare ostaggio di chi è in malafede».
L’appuntamento a Napoli
«Il 4 ottobre il Movimento compirà 10 anni e a metà ottobre a Napoli terremo Italia 5 stelle. Per allora dobbiamo creare le nuove regole e focalizzare gli obiettivi, perché su alcune cose siamo fermi alla preistoria».
Il fantasma di Beppe Grillo
Durante il suo lungo intervento Di Maio non ha citato mai il fondatore del movimento, quel Beppe Grillo che recentemente ha cominciato a picconare la sua creatura, soprattutto dopo il cambio di rotta sulla Tav. Lo ha fatto solo alla fine, per ricordare un vecchio mantra: «Beppe ha fondato questo movimento dicendo: “Nasceremo per scomparire”. Io non credo che possiamo permetterci di scomparire per almeno i prossimi 10 o 15 anni, c’è troppo da fare prima di chiudere».
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