Lo scontro istituzionale tra il ministro dell'Interno e i primi cittadini sull'applicazione del decreto sicurezza restituisce la fotografia di un Paese lacerato ma offre al Partito democratico un punto d'appoggio per tentare la ricostruzione
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Il duro scontro istituzionale in atto tra ministro dell’Interno e i sindaci delle città di frontiera in ordine all’applicazione del decreto sicurezza fa capire che la campagna elettorale si è avviata. E non avrà toni molto delicati.
Troppo distanti le visioni del Paese, dell’Europa, delle politiche economiche e dell’accoglienza tra le forze al governo e quelle dell’opposizione. Un abisso che non si è mai registrato neanche negli anni dello scontro più duro tra la sinistra dei Prodi e dei D’Alema e della destra di Silvio Berlusconi.
Travolti dall’emergenza, continua 365 giorni l’anno, i sindaci, guidati da Leoluca Orlando, hanno annunciato battaglia dura e rivoluzione civile. Non applicheranno il decreto o almeno proveranno a farlo. Dopo Orlando è stato un propagarsi del malcontento dei sindaci per tutta l’Italia, da Palermo fino a Milano. «Le forme di disobbedienza e opposizione alla Legge Salvini dovranno essere molte» ha dichiarato l’assessore milanese alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino che ha lancia una manifestazione il 2 marzo nel capoluogo lombardo.
Ma nel mezzo ci sono stati il sindaco di Napoli De Magistris, il sindaco di Bari Antonio De Caro, nonché presidente dell’Anci, che ha chiesto un incontro al Ministero e ha detto che i sindaci sono disposti a restituire le fasce tricolori, e anche il primo cittadino di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà. «Come sindaci – ha detto Falcomatà - avevamo rilevato queste problematiche fin da ottobre e non c’è stata alcuna concertazione e condivisione. Nella nostra città mai applicheremo norme che vanno contro i principi costituzionali e di accoglienza. A questo punto auspichiamo che il Viminale voglia incontrare l’Anci. Ci dicono di sgomberare gli irregolari- prosegue Falcomatà- e non ci dicono dove collocarli».
Matteo Salvini, che ormai sembra avere avuto una limitazione alle parole del vocabolario da poter usare, non è andato troppo per il sottile: «È finita la pacchia per i sindaci», ha detto, ammonendoli di dover rispondere del loro operato davanti alla legge.
Non vi è chi non capisca che l’argomento è troppo delicato, riguarda vite umane e diritti fondamentali, per essere trattato in questi termini. Non lo meritano gli italiani e non lo meritano i migranti. E c’è quindi da augurarsi che qualcuno rinsavisca al più presto per evitare che si consumino ulteriori tragedie o che intere comunità di migranti si riversino per strada con i conseguenti rischi per la sicurezza pubblica. Né uno scontro tra sindaci e Ministero dell’Interno pare abbia mai giovato a qualcuno.
Eppure nella presa di posizione dei sindaci si rinviene un ulteriore dato politico che non può essere taciuto. Sono quasi tutti del Pd, o comunque di sinistra. Privi della loro struttura partito, ormai da tempo, sono stati costretti alla presa di posizione individuale per esprimere una linea politica. E ci sono riusciti. Se ne è accorto subito il governatore del Lazio e candidato alla carica di segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti che, subito, ha offerto sostegno ai sindaci.
Un’idea che, qualche tempo prima del referendum costituzionale al quale si è impiccato, aveva avuto anche Matteo Renzi. Voleva coinvolgerli in prima linea e inserirne diversi nella segreteria nazionale. Poi la nomenklatura e i giochi di poltrona hanno avuto la meglio portando al naufragio tutto l’equipaggio. Chissà se, stavolta, Zingaretti invece non abbia avuto l’intuizione giusto per rivitalizzare un partito sull’orlo dell’implosione. Del resto i sindaci sono ancora il primo punto di riferimento per la cittadinanza, sanno operare in condizioni di emergenza e soprattutto sono eletti dal popolo a differenza dei due terzi dei nominati che occupano gli scranni del Parlamento grazie ad un’incivile legge elettorale. Potrebbero essere loro il motore di una ripresa della vita politica a sinistra?
Riccardo Tripepi