Missiva al vetriolo del noto medico catanzarese componente dell'Assemblea regionale dem contro il «partito degli eletti» dominato dai «signori dei voti»
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Non sembra esserci pace per il Partito democratico, almeno in ambito catanzarese, considerato come si è passati da un clima di fibrillazione, anzi di rissosità, dovuto alla contrapposizione ingenerata dai confronti fra i candidati alla vigilia dei congressi, alla mancata accettazione per le candidature uniche (e quindi unitarie) che a giudizio di diversi esponenti, pure di spicco, non hanno garantito la necessaria sintesi in seno al partito locale. È il caso di Lino Puzzonia, medico di una certa fama con diverse funzioni apicali ricoperte nell’Ordine del capoluogo e oltretutto già dg dell’ospedale Annunziata di Cosenza. Un professionista prestato alla politica, per così dire, e molto stimato da figure del calibro dell’ex governatore Agazio Loiero, tanto per fare un esempio. Al di là di ogni considerazione, però, Puzzonia ha ritenuto opportuno fare un passo indietro rispetto al suo attuale ruolo nel partito con una lettera al vetriolo indirizzata al segretario regionale Nicola Irto e per conoscenza, come si usa mettere in rilievo nel linguaggio “burocratese”, anche al leader nazionale Enrico Letta.
La lettera aperta
Di seguito il testo integrale della missiva in cui, come spiegato, si annunciano le dimissioni o meglio la fuoriuscita con effetto immediato dai Dem dello stesso Puzzonia:
«Ho appena inviato la scarna nota che precede ai “vertici” del partito senza altra spiegazione che non mi sembra meritino. A coloro, vecchi compagni e carissimi amici ma anche più recenti compagni di strada, mi sembra di dovere offrire alcune considerazioni correndomi l’obbligo innanzitutto di chiedere scusa a quelli di voi che nella iscrizione/militanza nel Partito Democratico sono forse stati un po’ coinvolti dalle mie insistenze ma sappiate che è stato fatto a fin di bene. Ho aderito al Pci nel 1971 e per mezzo secolo ho seguito il suo destino prevalente Pds-Ds-Pd, mettere la parola fine mi costa molto e mi fa un po’ sentire senza un pezzo di me ma ci sono dei momenti nei quali bisogna essere presenti a sé stessi.
Un carissimo vecchio compagno – ha aggiunto – da qualche anno mi rimprovera di “accanimento terapeutico” e mi sono convinto che ha ragione lui. All’accanimento sono contrario da medico figuriamoci da militante politico. Non ho mai avuto, né vi ho aspirato, alcun particolare ruolo dirigente nel partito o nelle istituzioni ma gli ultimi anni sono stati di particolare intensa attività. Prima con i vecchi compagni del Circolo Ovest, poi con tanti altri compagni della città, negli ultimi due abbiamo dato vita a un tentativo di rinascita di un Partito che, a Catanzaro era privo di une sede, di organismi dirigenti e finanche di una qualsiasi rappresentanza istituzionale. Abbiamo cercato di recuperare, di aggregare, di presentarci pronti alla prossima scadenza delle elezioni comunali.
I resti del gruppo dirigente del partito prima del congresso in corso hanno cercato di ostacolarci ma non ci sono riusciti e abbiamo continuato a resistere fiduciosi che invece questo congresso ci avrebbe finalmente consentito una vera agibilità politica. Purtroppo la delusione è stata cocente. Il percorso congressuale ha dimostrato che la pratica del “partito degli eletti”, che ci aveva portato all’annullamento, continua più forte di prima. Nell’ultimo decennio i “signori dei voti” almeno quei voti se li contendevano lealmente, questa volta invece si è voluto mettere chi doveva essere eletto nelle condizioni di non avere avversari e lo si è fatto condizionando di autorità le liste alle elezioni regionali in assoluta obbedienza alle oligarchie romane con la complicità di qualche dirigente locale. Poi il candidato “unitario” a Segretario regionale fautore della rigenerazione del partito ha fatto approvare in meno di mezz’ora on line la Presidenza, la Direzione regionale e le modifiche allo statuto senza nemmeno accertarsi che tutti gli aventi diritto avessero ricevuto il link per collegarsi.
Poi è iniziato il Golgota del congresso provinciale. Non staro qui a tediarvi – ha affermato ancora – su quanto successo perché se ne è scritto già abbastanza ma ricorderò che anche al circolo delle bocce le regole si scrivono prima e non quando la partita è in corso. Verosimilmente per questo il Cristo ha deciso di scendere dalla croce. Nella città di Catanzaro poi Il Partito ha mutato composizione raddoppiando gli iscritti tra Natale e Capodanno, con largo spazio ai nuovi venuti negli organismi regionali e praticamente nessuno ai protagonisti degli ultimi anni, e infine ieri pomeriggio pare siano spuntati 30 nuovi iscritti. Forse non c'era la certezza del risultati. Così è sceso dalla croce anche il secondo Cristo.
La mia decisione finale tuttavia deriva da una convinzione più amara e più grave. In Calabria la qualità del personale politico protagonista di queste squallide beghe di provincia sarà anche di scarsa qualità ma il problema vero viene da lontano. Solo ora infatti credo di aver capito compiutamente le ragioni di Nicola Zingaretti che si è rifiutato di continuare a gestire un partito ingovernabile diviso in correnti solo di potere senza alcuna seria diversità di carattere politico, culturale o ideale. Un partito geneticamente diverso da quello nel quale io e molti di voi si sono formati e hanno creduto. L’avvento di Letta sembra non aver cambiato niente alla faccia delle Agorà e del “ripartire dai circoli”. Pensate all’ultima campagna elettorale con la presenza degli esponenti nazionali a sostegno non del partito ma dei singoli candidati loro plenipotenziari in Calabria. Le correnti mi pare abbiano lottizzato il partito e la Calabria è capitata in maniera meno fortunata di altre regioni nelle mani del renzismo di ritorno.
A questo punto – ha concluso – mi consentirete di dire con un pochino di retorica che la “Primavera di Catanzaro” è finita e che “l’ordine regna a Catanzaro” come nella Varsavia del 1831. Ringrazio tutti quelli che hanno condiviso con me questa ultima battaglia. E non dispero di ritrovarci accanto in situazioni meno avvilenti. Leonard Cohen ha scritto che “ovunque c’è una fessura ed è da lì che entra la luce”».