Torna Perfidia e sotto l’acuminata lente di ingrandimento di Antonella Grippo finisce Sua Maestà la magistratura con tutte le contraddizioni che porta con sé e con il consueto strascico di polemiche che segue ogni ipotesi di riforma del sistema giudiziario “made in Italy”(QUI LA PUNTATA).

Un tema spinoso, che come sempre divide e accende gli animi, e che non mancherà di regalare scintille tra gli ospiti della serata.
Si parla insomma di separazione delle carriere, di magistratura inquirente e giudicante e di avvisi di garanzia a una premier col dente avvelenato contro i giudici. E il talk più malandrino e iconoclasta della televisione italiana sfodera un puntatone che poco ha di calabrese, ma che vira deciso verso lidi nazionali mettendo sotto accusa – in un processo senza esclusione di colpi – le tante (troppe?) contraddizioni di chi pensa che tutti i buoni abitino i palazzi della giustizia e tutti i cattivi quelli della politica. Un manicheismo di maniera che ha ben poco senso e che diventa materia sdrucciolevole per un dibattito che vede contrapposti il governo di Giorgia Meloni e i giudici che, a torto o ragione, sembrano vederla come il classico fumo negli occhi. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per una puntata che si preannuncia infuocata.

Nell’arena di Perfidia, quindi, scendono campioni di una e dell’altra corrente per spiegare a noi, comuni mortali, i perché e i percome di quella che – con il solito gioco di parole ironico e per nulla scevro di una certa strafottenza – diventa la “Separazione delle giarrettiere”, titolo della puntata che anticipa con puntualità l’evolversi della discussione in studio.

Gioca di fioretto Alberto Cisterna magistrato di “raffinatissima cultura” che va ad attingere all’origine di quell’Ordine della Giarrettiera, che è tra le massime onorificenze della Corona inglese e che – spiega – ha come motto “Sia maledetto chi pensa male”. Perché quando la regina perse la giarrettiera in un contesto poco chiaro, un nobile si alzò per risistemargliela urlando, appunto, la fatidica frase. Un parallelismo ironico e pungente che introduce perfettamente il dibattito.

Ma almeno ad ascoltare gli interventi che si susseguono in rapido ordine, sono in molti a pensar male della magistratura e delle sue dinamiche. Primo fra tutti Salvatore Staiano, noto avvocato penalista che non si fa certo problemi a mostrare la sua avversione per quella che dovrebbe sempre garantire un equo processo e un equilibrio assoluto tra le ragioni di accusa e difesa, ma che spesso finisce per privilegiare pubblici ministeri e compagnia cantante: «Se l’avvocato sbaglia viene radiato, ma se un pm sbaglia, no. Non rischia nulla. Il magistrato inquirente viene ritenuto imparziale, ma non lo è. La struttura è asimmetrica. Riconoscere che chi investiga è una parte in causa non si può ignorare!”». Parole pesanti, che aprono il dibattito più acceso della serata.

Anello al dito, abito d’antan, spilla di brillanti e parlare forbito, Staiano cita “Stronzate”, il saggio scritto dal filosofo americano Harry G. Frankfurt: «Quante ne passano attraverso i media finendo poi per essere recepite come vere dai lettori?». La terzietà dei pm è una di quelle e il processo deve essere riformato con quella che definisce una sacrosanta rivoluzione, la divisione delle carriere tra chi accusa e chi giudica.

Un passaggio che viene spiegato con chiarezza didascalica da Fabrizio Cicchitto, politico di lungo corso: «Il processo si fonda su un magistrato sicuramente terzo, quello che giudica, mentre il pm è una parte in causa. Accusa e difesa, sono le due parti contrapposte. La separazione delle carriere andrebbe a sanare questa situazione». E se lo dice lui, che ha visto passare governi e riforme nel corso degli anni, qualcosa di vero ci sarà.

Tra interventi di giornalisti come il direttore de Il Dubbio, Davide Varì e la firma del Fatto Quotidiano Antonello Caporale, si affronta anche la comunicazione d’iscrizione al registro degli indagati a Giorgia Meloni per il suo presunto ruolo nell’affaire Almasri: «La reazione della premier è stato un papocchio causato dall’esagerata autostima di sé. “Io sono la nazione, voi non siete nessuno”. La Meloni dice di non essere ricattabile ma si è fatta ricattare dalla Libia…». Un’affermazione che scatena un vespaio di reazioni, segno che il tema è tutt’altro che chiuso.

La trasmissione è già nel vivo quando in studio irrompe la politica, sotto le folte chiome e i lineamenti gentili di Vittoria Baldino del Movimento Cinque Stelle. Agguerrita come al solito si getta nella mischia in un vibrante botta e risposta con Staiano: «La separazione delle carriere? È inutile», sentenzia, «esiste già di fatto visto che solo l’un per cento dei magistrati passa da inquirente a giudicante e viceversa». Sarà, ma il dubbio resta: se non cambia nulla, perché osteggiarla in maniera così decisa?

Insomma, come riassume con la consueta verve ironica madama Grippo, che si destreggia nel governare i marosi di una discussione che si fa via via più accesa, “I magistrati non sono tutti appartenenti all’Ordine di Santa Gertrude con le gote rosse…”.

Forse per punizione o per mera legge del contrappasso Vittoria Baldino accetta di inginocchiarsi nel confessionale al centro dello studio per sottoporsi alla raffica delle domande spesso irriverenti di Sua Santità El Diablo, che di questo talk è magistrato inquirente e giudicante allo stesso tempo. Le risposte – che si parli di politica, di peccato o di lussuriosi sensi – sono degne di Santa Maria Goretti e il verdetto di Perfidia è inequivocabile: “Bugiarda”. La sentenza è inappellabile.

L’ultima parte della trasmissione è una cavalcata inarrestabile. Alla fine c’è (poco) spazio per l’avvocato e scrittore Salvatore Lo Giudice - figlio di Enzo Lo Giudice, ultimo difensore di Bettino Craxi - autore del libro “L’Ultimo Comunista” in cui ricostruisce le lotte del leader socialista in chiave politica e giudiziaria. Insomma, per dirla con le parole di Roberto Vecchioni, «Signor giudice qui il tempo scorre piano, ma noi che l'adoriamo col tempo ci giochiamo…». E per godersi Perfidia in santa pace servirebbe almeno mezz’ora in più!