Nessun passo indietro. Nessun atto di generosità. Il Pd calabrese non declina neanche queste parole da tempo ormai immemore. Oggi poi, quando soffia forte il vento della sconfitta dopo 5 anni di governo regionale deludente macchiati da una serie infinita di inchieste giudiziarie, l'unica preoccupazione è quella di provare a salvare la propria poltrona.

 

Ed allora in Calabria le indicazioni della segreteria nazionale, che da lunghe settimane tramite il responsabile per il Mezzogiorno Nicola Oddati, il commissario regionale Stefano Graziano e lo stesso Zingaretti, ha bocciato una eventuale ricandidatura di Mario Oliverio sono state percepite dai pasdaran del presidente come un atto di lesa maestà. “La Calabria ai calabresi” è il motto dei vari componenti dell’assemblea nazionale vicini a Oliverio che hanno diramato una nota stampa per richiedere le primarie.

 

Una presa di posizione che, invece di preoccupare Oddati, ha confermato nella segreteria nazionale la percezione di un partito calabrese balcanizzato e ormai privo di guida e di identità. Alle note oliveriane hanno presto risposto gli oppositori: dagli uomini di Carlo Guccione a quelli di Ernesto Magorno passando per il Pd di Vibo e le osservazioni del consigliere regionale Mimmo Bevacqua, anche lui in cerca di rinnovamento e discontinuità.

 

La zuffa si è presto trasferita anche sui social. E se l'ufficio stampa di Oliverio tira in ballo complotti romani a “Cinque Stelle", Franco Bruno tira le orecchio a Bevacqua reo di avere tradito Oliverio dopo lunghi anni di militanza: «Se vuole rinnovamento - dice Bruno - pensi alle sue di dimissioni».

Più in basso di così, insomma, il dibattito non poteva scendere. Anche perchè non esistono temi in agenda, ma soltanto una divisione tra guelfi e ghibellini che vogliono annientare l'avversario.

 

Eppure anche in altre Regioni si sono vissute situazioni analoghe. Solo per fermarci al recentissimo passato in Basilicata e Umbria, i governatori uscenti Marcello Pittella e Catiuscia Marini hanno prodotto il famoso passo indietro dopo essere stati coinvolti in indagini giudiziarie.

 

Perchè Mario Oliverio pensa di fare parte di un ordinamento a sè stante? Un politico di così lungo percorso e di così grande esperienza perché non riesce neanche ad ipotizzare un passo di lato. Se non dietro, per provare a unificare invece che dilaniare?

Invocare le primarie quando non esistono tempi e condizioni per poterle svolgere vuol dire soltanto forzare la mano e preparare il terreno per una rottura definitiva qualora la segreteria nazionale non dovesse cedere. Con quali risultati? Quelli minimi, volti a riottenere forse la rielezione come consigliere regionale, insieme a qualche fedelissimo, alla guida di una coalizione civica.

Le intenzioni del governatore, del resto, sono apparse subito chiare dopo l'esplodere dell'inchiesta “Libro nero" che ha visto il coinvolgimento del capogruppo del Pd a Palazzo Campanella Sebi Romeo. Proprio nelle ore successive il presidente ha inserito all'ordine del giorno di una seduta di giunta le primarie istituzionali. Assediato dai guai giudiziari invece di volere aprire un legittimo dibattito su garantismo politica ha preso in mano l'ascia di guerra: io mi ricandido Pd o non Pd, Procure o non Procure.

 

Ben sapendo, peraltro, che il Pd calabrese è da lungo tempo spaccato sul suo nome come dimostrato dall'ultimo anno e mezzo in Consiglio regionale dove la maggioranza non ha più i numeri, a causa delle continue defezioni, e il governatore si è dovuto appoggiare sistematicamente al centrodestra anche per avere il numero legale.

Un passo indietro del governatore, inoltre, potrebbe anche aprire a nuove alleanze in considerazione di quanto sta avvenendo a Roma e in attesa degli sviluppi della crisi di governo. Rimanere fossilizzato sulle proprie posizioni, invece, servirà solo a fare implodere il Pd e a consegnare la Regione al centrodestra. Anche perché la segreteria nazionale sarebbe costretta, a questo punto. Non più a suggerire a chiedere, ma ad adottare un atto di imperio che comunque rappresenterebbe una frattura per il Pd.

 

Riccardo Tripepi