Il Pd non è credibile e alla destra servono nemici: Riace simbolo perfetto da abbattere

In un tempo in cui gli antagonisti politici scarseggiano, gli avversari te li devi inventare. È così che Mimmo Lucano, sindaco del piccolo centro della Locride, è diventato il totem da tirare giù

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di Enrico De Girolamo
17 ottobre 2018
13:17

In un tempo in cui gli antagonisti politici scarseggiano, gli avversari te li devi inventare. È così che Mimmo Lucano, sindaco di Riace da ieri condannato all’esilio, è diventato il totem da abbattere, il vessillo da calpestare. Suo malgrado sconta l’assenza dalla scena politica di una sinistra in grado di contrastare efficacemente l’avanzata di populisti e sovranisti. Un vuoto clamoroso in quella stessa Italia che fino a pochi anni fa votava in massa per Matteo Renzi, tributando al suo partito ben 11 milioni di voti alle Europee del 2014, pari al 40,8 per cento dei consensi.


Sono passati appena 4 anni da allora, ma è come se fosse un secolo. Idealmente è lo stesso tempo che passa da Lucano che entra nella classifica di Fortune dei 50 leader più influenti del mondo, a Lucano costretto a riempire gli scatoloni nottetempo per lasciare Riace dove, per ordine del Tribunale del riesame, non può più risiedere. Una sconfitta plastica, che la destra di governo e di paese è corsa a intestarsi come ennesima vittoria e che rende visibile la parabola discendente di un’epoca.


 

Con una differenza sostanziale, però: Mimì capatosta, come è soprannominato, con questa politica non c’entra proprio nulla. Lui e la Seconda o Terza Repubblica, a seconda di come la si voglia classificare, sono su due piani completamente diversi.
Non c’è politica di Palazzo nel suo agire, né tornaconti economici. Non c’è propaganda, né ambizioni di potere. C’è solo il desiderio di fare quello che ha sempre fatto, promuovere la solidarietà e l’accoglienza, anche a costo di forzare le regole e aggirare la burocrazia. Per questo pagherà e sta già pagando, con un divieto di dimora che per lui è peggio dei domiciliari, ma serve a evitare che torni nell’esercizio dalle sue funzioni di sindaco, dalle quali al momento è sospeso in base alla legge Severino.

 

«Non sono un criminale, perché mi fanno questo?». Si è chiesto Lucano mentre all’alba di stamattina ha dovuto inscatolare le sue cose e andare via. Una domanda retorica la sua, perché la risposta è implicita e può essere riscontrata innanzitutto negli illeciti che gli sono contestati, a cominciare dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Ma c’è una risposta anche più lata e complessa, che prende forma nel pauroso squilibrio politico che sta inesorabilmente piegando il Paese a destra, a causa dell’inettitudine di una sinistra incapace non soltanto di offrire alternative valide, ma anche solo di affermare poche questioni di principio.

 

Nella regione che ha visto nascere e crescere quella vergogna epocale rappresentata dalla baraccopoli di San Ferdinando, il piccolo comune della Locride non è un luogo di sfruttamento e di miseria, né una fucina di terroristi e di invasati. Ma una finestra su una realtà parallela, un seme di speranza che ha messo radici tra i sassi di un paese che stava morendo e che non avrebbe avuto nessuna opportunità di sopravvivenza senza la creazione di quel “modello” che adesso viene percepito in maniera utilitaristica come l’avversario da abbattere. Lucano è diventato suo malgrado un simbolo e, in guerra, i simboli vanno distrutti.

 

Nella nuova Italia post 4 marzo 2018, la parola d’ordine, “prima gli Italiani”, è un’ipocrisia che viene perpetrata senza nessuna obiezione. Non “prima”, ma “solo gli italiani”, a patto che possano ostentare pelle bianca e inflessione dialettale. È questo il messaggio che viene veicolato dall’esaltazione della caduta di Riace. Non importa che gli extracomunitari siano integrati e abbiamo contribuito in maniera decisiva a risollevare le sorti di un paese morente. Un’alternativa all’immigrazione vissuta esclusivamente come un problema non è ammessa, perché potrebbe instillare il dubbio che un altro mondo è possibile.
Dunque l’esempio di Riace va annientato e a farlo non sono i magistrati, a cui spetta il compito di applicare le leggi senza cedere a suggestioni ideologiche. A spazzare via quel modello, che dovrebbe continuare ad esistere a prescindere dalle personali responsabilità penali di Lucano, è oggi la politica vincente, che ha bisogno di antagonisti come l’aria, anche a costo di crearli a tavolino.

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