Il sociologo e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università della Calabria sulla segretaria Dem: «Rappresenta una rottura rispetto a una precedente narrazione del partito»
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Non è il tempo di posizioni arzigogolate, ma di prese di posizione nette. È il tempo che i partiti disegnino traiettorie di futuro piuttosto che gestire l’ordinario. Questi sono i veri motivi del “ribaltone” che Elly Schlein è riuscita a compiere su Stefano Bonaccini. Ne abbiamo parlato con Ercole Giap Parini, sociologo e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DISPeS) dell'Università della Calabria.
Professore, c’è chi dice che l’elezione della Schlein sia quasi un incidente di percorso visto che gli iscritti del Pd avevano votato altro, poi gli esterni hanno ribaltato tutto. Un po’ come se i soci di una bocciofila eleggessero un presidente e poi gli iscritti al circolo di numismatica ne imponessero un altro…
«Diciamo subito che il Pd ha fatto un atto di coraggio nell’aprirsi all’esterno, superando le logiche di un apparato che fin troppi danni ha fatto fino a ora – mi riferisco soprattutto al rapporto con i territori e alla capacità di coinvolgimento della propria base. Il risultato finale a me non sorprende perché la Schlein, con la sua figura atipica rispetto a quelle logiche, ha intercettato una domanda di sinistra che per troppo tempo non è stata presa in considerazione, in nome di un apparato, appunto, che tendeva - più o meno responsabilmente - a costituirsi come entità affidabile in termini di governo del Paese, che però significa anche mantenimento dello status quo».
Anche per lei è stato il governismo il male del Pd?
«Certamente non tutto il male proviene da quello e quella deriva è anche una conseguenza di una difficoltà intellettuale a capire come declinare una politica di sinistra in un mondo che cambia velocemente; e in questi anni il Pd è apparso come un partito di casta, capace di governare indipendentemente dagli esiti elettorali. Strategia attuata in nome della responsabilità e che ne ha danneggiato l’immagine, perché tutto ciò ha comportato mediazione (non sempre di tipo virtuoso) e continui compromessi. Tutto ciò è stato accompagnato dall’articolazione di un linguaggio infarcito di inutili tecnicismi, incomprensibilmente votato a una stabilità a volte difficilmente difendibile. E invece la politica deve emozionare, proiettare visioni del futuro, e, a sinistra soprattutto, deve sapere proiettare una chiara idea di giustizia sociale. Quindi, per semplificare la mia risposta alla sua domanda, la Schlein ha vinto perché, di fronte a una destra capace di parlare alla pancia del sovranismo e del malessere diffuso, la gente ha intravvisto una proposta articolata secondo un linguaggio riconoscibilmente di sinistra».
La Schlein è in grado di rappresentare queste istanze di sinistra?
«Questo ovviamente lo vedremo col tempo. Sicuramente rappresenta una rottura rispetto a una precedente narrazione del partito, una inversione di tendenza che la base del Pd, e soprattutto il mondo diffuso che ancora intende riconoscervisi, ha saputo imporre. Base che, ben più acutamente dell’apparato, ha compreso che a una destra aggressiva e capace di sfondare comunicativamente anche illudendo di avere una immagine del futuro, serve un cambiamento di passo e una prospettiva di futuro; che sia soprattutto ben identificabile a sinistra».
Lei prima parlava dei limiti del governismo, ma spesso anche i temi non sono sembrati appropriati, soprattutto l’insistere sui diritti civili mentre quelli sociali si stanno contraendo per la guerra, l’inflazione, la disoccupazione ecc.
«Su questo voglio essere netto. Per me si tratta di un falso problema: diritti civili e sociali sono due facce della stessa medaglia e stanno in un rapporto di costitutiva connessione, proprio per come sono presentati nella nostra carta costituzionale. È becera retorica pensarli come in contrapposizione perché le libertà vanno sostenute da opportune politiche sociali e le politiche sociali devono avere come fine l’emancipazione degli individui nelle loro cerchie e comunità. Certe prospettive, anche a sinistra, stanno cercando di ritagliarsi uno spazio politico proprio rimarcando una becera contrapposizione».
A proposito di partito… l’elezione della Schlein sembra dimostrare che forse è uno strumento superato…
«No, non è così. La forma partito, in una democrazia rappresentativa, non ha delle percorribili alternative. D’altronde, se guardiamo il sistema politico italiano, i maggiori player sono Fratelli d’Italia e il Pd ovvero due formazioni strutturate, che hanno alle spalle una storia e una tradizione consolidata. A questi si può aggiungere la Lega, che oggi rappresenta il più vecchio partito rappresentato nel Parlamento. Anche chi teorizzava la fine dei partiti a favore di espressioni più liquide della rappresentanza, come ad esempio il Movimento 5 Stelle, di fatto, a livello centrale e sui territori, si sta strutturando sempre più secondo quel modello. A essere in crisi sono i partiti personali. Noi oggi seguiamo le vicende di Berlusconi e dei suoi problemi di salute come faremmo con le vicende della Corona inglese. E credo non sia un azzardo sostenere che, senza Berlusconi, difficilmente esisterebbe Forza Italia. Lo ribadisco: i partiti sono gli unici soggetti collettivi capaci di mediare fra le istanze e le esigenze dei singoli cittadini per trasformarle in politiche. Le attrazioni, in epoca di crescente digitalizzazione, per le agorà virtuali, nel concreto e tecnicamente sono difficilmente perseguibili; in più, anche se venissero superati certi limiti tecnici, il rischio sarebbe di scambiare la democrazia costituzionale, e la sua tensione intima a riconoscere e tutelare le minoranze, con il plebiscitarismo, incapace di mediazioni e insofferente nei confronti di quelle stesse minoranze diffuse. Naturalmente non intendo negare tutte le contraddizioni, i problemi e i danni causati dal sistema dei partiti, ma non dobbiamo buttare il leggendario bambino insieme all’acqua sporca».
La Schlein dove porterà il Pd? Qualche osservatore già dice che al di là delle dichiarazioni al momento non si intravede l’azione politica
«Guardi la neo segretaria ha preso da poco i comandi di una macchina molto complicata e attraversata da mille contraddizioni, come per esempio sono ben visibili proprio qui al Sud. E’ chiaro che, da segretario di un partito e a cui è affidata una rappresentanza ampia, a qualche compromesso deve cedere e già lo sta facendo. Vediamo se saprà essere all’altezza delle aspettative tributate assieme all’ampio mandato che ha ricevuto. Le primarie del Pd su questo sono state chiare perché è stata premiata una donna, giovane, lesbica, portatrice di istanze di cambiamento anche in nome delle differenze; insomma incarna una rottura rispetto al partito apparato autoreferenziale del passato, la cui azione mirava al mantenimento dello status quo e degli equilibri interni. Ha vinto contro un candidato, Bonaccini, senz’altro più rassicurante, nella sua fisicità, nel linguaggio, nella storia, nei confronti dell’apparato partito e degli iscritti, non certo per quella ampia sezione di società che vuole competere contro questa destra con visioni e discorsi coerentemente di sinistra».