Nelle oltre trenta pagine della sentenza i giudici romani parlano di atti illegittimi, disordine amministrativo e influenze
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È duro e risoluto il Consiglio di Stato nella sentenza con il quale mette definitivamente la parola fine al consiglio comunale di Lamezia Terme guidato da Paolo Mascaro sindaco. Due anni di ricorsi, attese, sospensive, un breve rientro a via Perugini di Mascaro, poi l’attesa delle pronuncia per capire come muoversi in vista della convocazione delle elezioni il prossimo dieci novembre.
E quella pronuncia è arrivata, puntuale e rigida, confutando quanto aveva affermato il Tar del Lazio quando aveva annullato lo scioglimento.
Per il Consiglio di Stato durante l’amministrazione Mascaro ci sarebbe stato «un meccanismo di assegnazione degli appalti e dei servizi tale da realizzare una sorta di rotazione delle stesse imprese con la conseguente grave alterazione dell’operato della pubblica amministrazione».
I giudici vanno poi oltre: «Non è necessario che le imprese favorite da un sistema di illegalità diffusa siano direttamente o indirettamente inquinate dalla mafia perché il condizionamento mafioso può palesarsi anche in un sistema spartitorio che vede affidare senza la gara le commesse pubbliche da parte dell’amministrazione comunale». Si parla poi di «disordine amministrativo» e di «estese sequenze di atti illegittimi».
Da Roma i giudici si lanciano poi in un’analisi generale: «L’insieme di questi elementi, la cui pregnanza e univocità, appare difficilmente contestabile, dimostra l’esistenza di una fittissima rete di intrecci, legami, cointeressenze tra i vertici politici del Comune, che essi appartengano alla maggioranza o alla minoranza, e un’irrimediabile compromissione del governo locale con soggetti e logiche di stampo criminale mafioso, considerata persino la contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ad alcuni degli amministratori locali».
«Il contributo determinante della mafia nel condizionare il voto popolare – incalzano - è tale da inficiare irrimediabilmente il funzionamento del consiglio comunale per un suo vizio genetico, essendo difficilmente credibile, secondo la logica della probabilità cruciale, che un consiglio comunale i cui componenti siano eletti in parte con l’appoggio della mafia, per una singolare eterogenesi dei fini, possa e voglia adoperarsi realmente e comunque effettivamente, non solo per mero perbenismo legalitario, per il ripristino di una effettiva legalità sul territorio e per la riaffermazione del potere statuale contro l’intimidazione, l’infiltrazione e il sopruso di un ordinamento delinquenziale, come quello mafioso, ad esso avverso per definizione».
Infine il monito: «Ogni futura azione politica e amministrativa, che risulterà dall’esito delle prossime elezioni dovrà recidere qualsiasi rapporto, qualsiasi compromesso con il potere mafioso, senza scendere a patti con esso per convenienza o connivenza o mero timore, se vorrà essere autenticamente rispettosa del principio democratico, che anima la Costituzione».