Una campagna elettorale infuocata, giocata a forza di colpi sopra e sotto la cintura, infarcita di proclami e promesse. La corsa verso il quattro marzo diventa, per i partiti, sempre più spasmodica e senza esclusione di colpi. I cittadini e futuri elettori, disorientati, sfiduciati come non mai e immersi nei problemi quotidiani ai quali tutti i candidati promettono di trovare una soluzione, sentono l’eco ininterrotta di programmi e dichiarazioni di intenti.

 

Disoccupazione, assalto ai grandi evasori, rimodulazione delle pensioni, maggiori opportunità per giovani ed esodati, sicurezza –intesa sostanzialmente come gestione coatta del fenomeno dell’immigrazione – e maggiore credibilità dell’Italia nei confronti dei paesi esteri, pro o contro Unione Europea a seconda dei partiti, attenzione all’ambiente (poca) e riduzione della pressione fiscale. Ma poco, veramente poco, si è sentito parlare di contrasto alla criminalità. Non della microcriminalità, quella delle periferie disagiate che tutti promettono di includere nel circuito cittadino, quella dei furti in villa o nei negozi che puntualmente diventano notizie da cannibalizzare e cavalcare a beneficio del proprio colore politico, parliamo di mafia, camorra e ‘ndrangheta.

 

E questa semi-assenza, che certo non può essere una svista, di certo ha deluso gli elettori, che un impegno in merito, specialmente in una regione come la Calabria, dai candidati se lo aspettavano. Visto che, soprattutto la politica, negli ultimi anni è stata investita con preoccupante frequenza da indagini sulle più potenti e articolate cosche calabresi, ai vertici mondiali del narcotraffico. Un’assenza, insieme a quella dello scivolosissimo fronte Massoneria dove solo pochi temerari si sono avventurati, che non è sfuggita a chi il fenomeno lo conosce benissimo. Ad affrontare fuori dai denti la questione, sulle colonne di Famiglia Cristiana, è l’ex procuratore di Torino e Palermo Giancarlo Caselli, che sulle aderenze mafia-politica-massoneria dichiara: «Certi intrecci, ancora negati o ridotti a folclore locale, non riguardano solo qualche appalto, sono un problema nazionale che ha condizionato e condiziona la nostra democrazia. Imprenditori, politici e studenti. Sacerdoti e magistrati. Mafiosi».

 

Caselli scende poi su un altro terreno particolarmente sconnesso. Quello dei rapporti tra politica e massoneria. «Nelle logge delle quattro "obbedienze" (Grande Oriente d'Italia, Gran Loggia d'Italia, Gran Loggia regolare d'Italia, Serenissima Gran Loggia regolare d'Italia) ci sono proprio tutti – dichiara l’ex magistrato. In totale oltre 17 mila iscritti e più di qualche zona d'ombra. Lo certifica la Commissione antimafia. Che, con l'aiuto della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha rilevato al loro interno 193 "fratelli" con "evidenze giudiziarie per fatti di mafia"».

 

Restringendo l'indagine alle sole Sicilia e Calabria, spiega Caselli, ogni due logge si registrerebbe la presenza di un mafioso o un suo complice. Valutazioni della Commissione parlamentare Antimafia che non sembrano, nemmeno alla viglia delle elezioni politiche, aver destato particolare attenzione se non in qualche schieramento. «Non mi stupisce questo silenzio – conclude Caselli-  in democrazia non dovrebbero esistere associazioni segrete con vincolo di obbedienza. Invece esistono e sono spesso veicolo di incroci torbidi fra mafiosi e altri potenti, con reciproco rafforzamento. Ma guai a chi ne parla più di tanto. C'è un processo di rimozione/riduzione collaudato da tempo e riscontrabile in molti delicati casi».

 

Loredana Colloca