"Questi hanno rubato", dice Nicola Gratteri. Forse, però, stavolta hanno fatto anche di più. Hanno messo insieme tutti i vizi di una classe dirigente. Che scende a patti con la mafia pur di farsi eleggere. Che vive secondo le logiche esclusive del più becero familismo amorale. Che spende e spande i soldi pubblici per alimentare i clientes, saziare gli appetiti di sponsor e grandi elettori, aumentare la messe di voti. Che fustiga, vessa, mette con le spalle al muro chi non vuol piegarsi al compromesso. 

 

L'inchiesta giudiziaria coordinata dal procuratore aggiunto di Catanzaro Giovanni Bombardieri, quella che ha portato all'arresto del consigliere regionale Nazzareno Salerno e degli altri componenti del suo presunto comitato d'affari, per il sistema così vasto e così perverso che svela, ha rari precedenti. Forse solo Mimmo Crea, quello di "Onorata sanità", quello che - diceva Franco Morelli, altro campione della classe dirigente calabra finito al gabbio - "il compare del mio compare è mio compare", si mostrava capace di agire con tanta spregiudicatezza.

 

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Presunzione d'innocenza? Garantismo? Giustizialismo? La magistratura farà il suo corso? La retorica, una volta tanto, lasci spazio all'essenza dei fatti. Perché l'accertamento della responsabilità penale è una cosa, quella spetta al processo; i fatti ovvero le relazioni, le azioni documentate, le parole pronunciate, vanno invece in un'altra direzione e hanno un senso chiaro. Così come i numeri, i giri di denaro, i soldi spariti per ingrassare i conti propri, degli amici, e degli amici degli amici, hanno un significato ancor più chiaro.


La politica sapeva. La politica non poteva non sapere. Eppure ha taciuto (e continua a tacere). Così come avvenne con Crea, con Sarra, con Caridi. Lasciò correre quando sulla stampa finirono le intercettazioni agli atti del procedimento "Crimine" secondo cui la mala delle Serre votò e fece votare Salerno. Lasciò fare quando, sotto il naso di politici e burocrati regionali, evaporarono fiumi di quattrini in un vergognoso carrozzone chiamato - che penoso cinismo - "Calabria etica". E non si fece neppure una domanda quando Salerno, alle ultime regionali, crollato il suo consenso nella provincia di riferimento, quella di Vibo Valentia, sbancò di brutto proprio nella Lamezia dell'amico Pasqualino Ruberto.

 

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Dov'è la politica? Anzi, cos'è la politica? Cos'altro deve accadere prima che decida di bonificare se stessa, evitando di farsi anticipare, come ieri, come sempre, da Gratteri a Catanzaro o da Cafiero De Raho a Reggio? Cos'altro deve accadere prima che i fondi pubblici, quelli destinati ai poveri, a chi soffre, allo sviluppo, alla crescita, siano impiegati com'è giusto che sia?

 


Politica colpevole (al momento sul piano morale ed etico, penalmente poi si vedrà). Nel caso di Salerno, e presunti compari, in pensieri, parole e opere. Per il resto, nel migliore dei casi, in omissioni.


Quest'inchiesta, poi, ha svelato situazioni paradossali. La vicenda del capo dei vigili - a beneficio del quale si sarebbe mosso, con soggetti in odor di mafia, uno dei principali indagati affinché lo stesso tornasse al posto da cui un prefetto con gli attributi lo aveva fatto sospendere - è emblematica di quanto sia malato il contesto nel quale viviamo.

 

Qui il povero sventurato finisce in ginocchio perché con lui si è sempre così zelanti, mentre al malacarne che vuole sistemare le tendine - come si legge tra gli atti dell'indagine "Robin Hood" - basta una chiamata. E che dire di quel posto al cognato del boss Luigi Mancuso o delle parcelle per decine e decine di migliaia di euro a professionisti, avvocati, commercialisti, regalate per progetti di fatto inesistenti? Che dire? 

 

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Si potrebbe semplicemente ricordare che Nazzareno Salerno non è altro che espressione di questa classe dirigente. Visto che nessuno - eccetto Arturo Bova - ha preso le distanze, nessuno si offenderà.


Pietro Comito