È iniziato nel seggio allestito nella scuola elementare del paese, il quarto mandato da sindaco di Mimmo Lucano. Nella stessa scuola riaperta grazie all’afflusso dei bimbi migranti (e chiusa per mancanza di studenti dopo la serrata ai progetti d’accoglienza disposta dall’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini), il neo sindaco di Riace ha giurato davanti al Presidente del seggio, prendendo il posto di Antonio Trifoli, l’ex esponente del Carroccio che i riferimenti all’accoglienza li aveva tolti anche dai cartelli d’ingresso al paese, arrivato ultimo nella sfida a tre per il Comune.

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Il nuovo corso

Inizia così, con una cerimonia breve, il nuovo percorso del “Curdo” alla guida del paesino arroccato sulle colline della Locride. Un percorso che aveva catapultato Riace, minuscolo borgo dissanguato dallo spopolamento, in una dimensione planetaria grazie ai vari progetti di integrazione ed accoglienza che, a partire dallo spiaggiamento di un barcone carico di Curdi sulle spiagge dei bronzi nel 1998, avevano trasformato il paese, rendendolo cerniera tra le diverse periferie del Mediterraneo. “Un modello” che aveva portato Riace ad essere studiato nelle università e che aveva proposto un sistema di sviluppo alternativo, in una delle zone economicamente più depresse d’Europa.

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Il modello Riace

Curdi, siriani, palestinesi, afghani: Riace ha rappresentato per anni un rifugio sicuro per chi, dopo viaggi trappola lungo le sponde del Mare Nostrum, scappava da guerra e fame. Un “porto franco” in grado di accogliere, sotto la spinta delle migrazioni africane che premevano su Lampedusa e su Reggio, decine e decine di famiglie arrivate in paese grazie ai progetti Sprar e che a Riace sono rimaste anche oltre il limite di tempo stabilito dai regolamenti, ripopolando un comune in cui la percentuale di nuove nascite era ferma a numeri da prefisso telefonico. Un modello costruito giorno per giorno (e in cui non sono mancati errori) con l’idea fissa che «nessun uomo è uno straniero» e che è naufragato sotto i colpi dell’inchiesta Xenia prima e sotto quelli del titolare del Viminale Salvini poi, che della distruzione di Riace ne aveva fatto l’ennesima bandiera politica.

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L’inchiesta

È il 2 ottobre del 2018 quando la guardia di finanza fa irruzione nella casa del sindaco notificandogli gli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere, abuso d’ufficio, falso, truffa, concussione peculato, turbativa d’asta e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Assieme a Lucano, a vario titolo, vengono indagate altre 27 persone tutte protagoniste nel modello Riace. Accuse pesantissime da cui lo stesso Lucano si è sempre dichiarato estraneo ma che portarono, in primo grado, ad una condanna disposta dal Tribunale di Locri a 13 anni e due mesi di reclusione, quasi il doppio di quanto aveva richiesto la Procura durante la requisitoria. Una sentenza bollata come “abnorme” da decine di giuristi e che scatenò un’ondata di solidarietà lungo tutto il Paese. Una sentenza che implose, pochi mesi dopo, a seguito della sentenza d’appello del Tribunale di Reggio che smontò certosinamente tutte le ipotesi di accusa, lasciando in piedi solo quella relativa ad un abuso d’ufficio sanzionato con una pena sospesa.  

Il ritorno

A distanza di cinque anni da quel blitz della polizia giudiziaria, Lucano torna a sedere sul seggio più alto di un paese che era diventata speranza per centinaia di migranti, eletto con buon margine sugli avversari. Un successo «che è l’unico che mi interessa veramente» che arriva poche ore dopo l’incredibile cavalcata europea che ha portato il sindaco dell’accoglienza a raccogliere 190 mila preferenze in tutta Italia per un seggio a Bruxelles. «Bisogna riallacciare i fili di un discorso che era stato sospeso – ha dichiarato Lucano nell’immediatezza del risultato elettorale – da Riace parte una nuova spinta democratica contro questa marea nera dilagante».