In teoria il tempo ci sarebbe, nonostante Enrico Letta abbia deciso di accelerare e anticipare il congresso nazionale. Sabato prossimo, il 19, il "parlamentino" dei mille delegati del Pd si riunirà online e voterà la nuova road map: entro Natale i nomi di chi corre per la segreteria dovranno essere presentati, poi un mese di discussione nei circoli e il voto nei gazebo a fine gennaio, al massimo a inizio febbraio. Quel che continua a mancare, almeno in apparenza, invece, è il dibattito. Come farà il Pd a ristabilire la connessione sentimentale con la sua base? Eppure i temi sono diversi, fra questi quello del ruolo delle donne nel partito. Nonostante il Pd nel suo statuto preveda una serie di quote riservate al gentil sesso, i dati dicono che non esiste una donna a capo di una delle famose correnti, non c’è stato un ministro donna nel vecchio Governo, in tutta la storia del partito non c’è mai stato un segretario donna.

LEGGI ANCHE: Donne del Pd fuori dalle stanze del potere. E in Calabria è pure peggio: nessuna al vertice

Donne e politica

«Per le donne calabresi del Pd questo destino è ancora più gramo», dice Enza Bruno Bossio, dell’assemblea nazionale del partito. Difficile visto il contrario visto che oggi non c’è una donna eletta in Parlamento, non una in consiglio regionale, non un sindaco di una città capoluogo o semplice segretaria di Federazione. Ma perchè?

«Lunghi anni di commissari romani, attenti più alle proprie collocazioni personali che all’organizzazione del partito - dice oggi la Bruno Bossio - hanno oggettivamente costretto la classe dirigente locale in una condizione di debolezza e hanno impedito che fosse riconosciuta l’autorevolezza delle dirigenti donne del Pd calabrese. Sia quando si è trattato di scegliere la candidata alla presidenza della regione, sia quando si doveva indicare, come da statuto, una capolista donna in uno dei due rami del Parlamento. Il risultato è stato una pesante e prevedibile sconfitta alle elezioni regionali e aldilà della mia vicenda personale, dopo le ultime elezioni politiche non abbiamo più alcuna rappresentanza istituzionale del Pd alla Camera dei deputati».

Poco rosa nel Pd calabrese

Insomma c’è davvero poco rosa nel Pd calabrese. Ma quando parla di donne a chi si rivolge il Pd calabrese? Teresa Esposito, portavoce regionale delle donne, pensa soprattutto a ragazze dai 25 ai 35 anni, neo laureate che si affacciano al mondo del lavoro. Un momento molto delicato per diversi motivi.

«Quando parliamo di donne penso a tutte le donne - dice la Bruno Bossio - Penso alle donne che nei decenni scorsi hanno vissuto l’esperienza delle lotte di liberazione che ha determinato l’affermarsi del riconoscimento della differenza di genere e il conseguimento di significativi risultati sul terreno dei diritti civili e sociali. Le giovani donne, hanno raccolto quella eredità e oggi le loro battaglie sono rivolte al riconoscimento ad esistere come persona, senza stereotipi nella identità individuale e negli orientamenti sessuali: questa è l’espressione di un moderno femminismo del nuovo millennio».

«Il Pd non è un partito di donne e di giovani»

Ma ha senso, nel 2022, parlare ancora di femminismo? Enza Bruno Bossio è stata fra le firmatarie di un appello in cui il Pd viene invitato a fare il Pd, cioè tornare “ad essere una forza vivace, vitale, riformista, femminista non a parole ma nei fatti”. «Il Pd per essere partito femminista nel 2022 deve sapere interpretare questi nuovi orientamenti. Ma nonostante le dichiarazioni del Manifesto dei valori, il Pd così com’è adesso, per come è stato ridotto dai capi corrente autoreferenziali, non è un partito di donne e di giovani, non solo perché non è votato da donne e da giovani, ma perché nella pratica concreta esclude dalle “competizioni di potere” i suoi giovani e le sue donne».

LEGGI ANCHE: Cosenza, dall’aborto alla parità salariale: focus sui diritti delle donne in un incontro con le candidate Pd

I provvedimenti a favore delle donne

Ma al di là delle dichiarazioni di principio, quali strumenti normativi ha messo in campo il Pd nel suo periodo di Governo, a favore delle donne? «Uno dei provvedimenti più importanti è senz’altro la legge n. 162 del 2021 sulla parità salariale e le pari opportunità sul luogo di lavoro, e nella legge di bilancio del 2022 è stato previsto un fondo di 52 mln per l’effettiva parità salariale - ricorda l’ex parlamentare -. Tra altre le misure importanti nel settore del lavoro, vanno poi ricordate anche la proroga di Opzione donna e l’allargamento della platea di Ape sociale. Da segnalare poi una serie di misure finalizzate a conciliare l’attività lavorativa e l’esigenza di tutelare la salute pubblica, che pur essendo a favore di entrambi i genitori finiscono per sostenere in modo deciso le donne, tradizionalmente gravato da carichi di cura e assistenza maggiori: quelle volte a favorire il ricorso al lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni e nei settori privati, i congedi straordinari e i bonus baby-sitting, il lavoro agile per i lavoratori genitori di figli under 16 durante i periodi di didattica a distanza o per figli disabili, l’equiparazione della quarantena a malattia o ricovero ospedaliero. È stato finalmente introdotto dopo 10 anni il congedo di paternità anche per i dipendenti pubblici».

I temi dell’aborto

Resta un nodo ancora non pienamente risolto, però, quello del diritto all’aborto. «Per quel che riguarda l’attuazione della 194, purtroppo non è pienamente garantita in Calabria come in altre regioni amministrate dal centro destra e i primi segnali del governo Meloni sono piuttosto preoccupanti e fortemente limitato il diritto all’autodeterminazione della donna».

I numeri sembrano confermare le parole della Bruno Bossio. «In Calabria e in particolare nella provincia di Cosenza - ricorda - si può abortire solo nei presidi ospedalieri di Castrovillari e Corigliano. Sono obiettori il 67,6 per cento dei ginecologi, il 75,9 per cento degli anestesisti e il 63,1 per cento del personale non medico. Ma il problema del mancato diritto all’aborto è strettamente legato alla carenza dei consultori di cui spesso sono rimasti soltanto i muri. Dopo l’approvazione della legge 194, nel 1978, ci furono assunzioni ad hoc, ma nel frattempo il personale assunto in quegli anni è andato in pensione, e a causa del blocco delle assunzioni non è mai stato sostituito».