Salvatore Stanizzi, 29 anni, giornalista pubblicista, dottorando di ricerca, funzionario esperto. Ma è anche un analista politico, studioso del sistema elettorale, costituzionale e giuridico americano, alunno dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia. Ecco l’intervista.

Come valuti l’avvio della presidenza Trump? Certo che definirla scoppiettante è dire poco.
«Non è possibile fornire un giudizio dopo tre settimane di presidenza, occorre aspettare che si compiano ancora tanti atti propedeutici come, ad esempio, la conferma di tutti i membri del Gabinetto affinché l’Amministrazione nella sua totalità sia nel pieno delle proprie funzioni. Si può, invece, affermare che la differenza con Biden è palpabile: saranno quattro anni con una frequenza di notizie impegnative, il flusso sarà caotico. Mettiamola così: bella la noia con Biden presidente…»

Quali tra le decine e decine di decreti esecutivi ritieni assai negativi?
«È soggettivo. Per molti, gli ordini esecutivi più controversi, sono positivi. Per altri sono molto negativi. Siamo a 57 ordini esecutivi firmati in 19 giorni e altri sono prossimi alla firma. La particolarità è che Trump sta spaziando in ogni ambito possibile: passa dai dazi alle celebrazioni del 250º compleanno degli Usa, dal vietare alle atlete transessuali di partecipare alle manifestazioni sportive femminili ad imporre sanzioni alla Corte Penale Internazionale: insomma, grande è la confusione sotto il cielo ma questo non significa, per forza, che la situazione sia eccellente».

Dalla politica dei dazi comunque ha ricevuto le prime sberle.
«La politica dei dazi è una boutade. Esattamente come annettere Canada e Groenlandia. Mi spiego meglio: è naturale che se gli Usa impongono dazi al Canada, il Canada farà altrettanto con gli Usa. È il principio fondamentale dell’universo: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. La politica dei dazi è semplicemente utilizzata per riaffermare la supremazia economica americana: alla fine i dazi resteranno solo per gli Stati che sono davvero ostili agli Stati Uniti, Cina su tutti».


Quanti danni potranno fare all’economia calabrese i probabili dazi all’Europa e quindi all’Italia?
«Se la politica dei dazi fosse realmente applicata come Trump dice, cosa che personalmente non credo, i danni sarebbero enormi. Resta sempre da fare una differenza: un conto è parlare di Europa, un conto è parlare di Italia. Trump potrebbe anche decidere di colpire direttamente un singolo Stato componente l’Unione e non la sua totalità di 27 Stati. Come Italia siamo in una posizione più fortunata rispetto ad altri partner: gli ottimi rapporti con Giorgia Meloni potrebbero, al contrario, favorire le relazioni bilaterali sia con il nostro Paese che con l’Unione. È palesemente il leader - la Meloni, ndr - che Trump preferisce in Europa e, questo, potrebbe favorire (e non di poco) l’economia italiana e anche quella calabrese: occorre sempre guardare tutti e due i lati della medaglia, non solo quello che sembra più spaventoso».


La Riviera di Gaza è un altro frutto avvelenato della fantastica mente trumpiana...
«Negli scorsi giorni mi è capitato di rivedere, per due volte consecutive, un film che avevo visto nel 2016, “Lion - La strada verso casa”. Il film è basato sul libro di memorie “La lunga strada per tornare a casa” e racconta la storia vera di Saroo Brierley, adottato in tenera età da una coppia di genitori australiani. All’alba dei 27 anni, Saroo, ha numerosi amici e affetti anche indiani ma non ha dimenticato le sue radici e la sua famiglia, per la quale prova un senso di colpa a causa della sua sparizione. In seguito alle insistenze della sua ragazza, il giovane inizia a fare delle ricerche attraverso Google Earth, alla disperata ricerca del suo villaggio natale basandosi sui suoi ricordi sbiaditi, finché riconosce da un'immagine satellitare ciò che sembra la stazione di partenza. Decide così di partire per l'India, raggiungendo il villaggio d'origine. Ritrova la sua vecchia abitazione e chiedendo a delle persone, viene infine condotto da sua madre».

E questo cosa ha suscitato in te?
«Rivedendo più volte la scena di Google Earth, mi è tornata alla mente una citazione tratta da “La luna e i falò” di Cesare Pavese: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Pavese parlava esplicitamente, nel lontano 1950, di un luogo dell’anima, un paese dove tornare prima di andar via. Chiunque di noi lo ha e spesso ci fa ritorno, semplicemente confondendolo con la parola “casa”. Dal 1950 ad oggi, di anni ne sono passati 75. Il concetto di luogo, soprattutto per chi, come Saroo non ha avuto la possibilità di tornarci come e quanto avrebbe voluto, facendone a tratti una malattia, facilmente si può applicare a ciò che hanno vissuto e vivono i palestinesi: un popolo errante, senza fissa dimora, che però ancora crede nonostante tutto nella luce verde, nel futuro orgastico che anno dopo anno si ritira davanti a loro. Un popolo che continua a remare, barche contro corrente, risospinto senza posa nel passato».

Il popolo palestinese ha il diritto di avere un luogo.
«Certo, ha il diritto di avere una identità e ha il diritto di avere uno Stato. Non esisterà alcuna autorità così grande da poter far sì che, fino all’ultimo componente di questo popolo, esso non cerchi di tornare - legittimamente - a casa».

Musk nel frattempo sembra dedicarsi a sfasciare l’Europa con i suoi interventi destabilizzanti nei singoli Paesi.
«Hai mai dato un videogioco ad un bambino? Non si staccherà finché o non avrà vinto tutto o finché non si sarà annoiato. Dopo lo spazio, è la politica il campo di interesse di Musk. E continuerà ad esserlo per molto tempo: le sue non sono mire espansionistiche ma voglia di mettersi in mezzo a questioni sfruttando un peso, economico e sociale, che quasi nessuno ha al mondo. Lo sta facendo in Germania e nel Regno Unito, mentre in Italia si limita a criticare l’operato della magistratura: a seconda del sentimento popolare, Musk scrive e dice la sua. Il 20 gennaio è stato pubblicato un sondaggio condotto da Harris sulla popolarità di Elon Musk in Europa, guarda caso il Paese che lo ama di più è l’Italia. No, non è una coincidenza».

Eppure qualcosa di buono anche lui potrebbe fare.
«Certo, potrebbe. Lo farà? Per gli Stati Uniti, sicuramente. Per noi forse non in via diretta ma, piuttosto, per vie collaterali. Il suo ruolo, le sue conquiste, i suoi successi, potrebbero aiutare tantissimo nei prossimi quattro anni. Piuttosto dovremmo chiederci: Musk durerà quattro anni accanto a Trump? Se sì, allora, quantomeno negli Stati Uniti, vedremo risultati tangibili e che sembrano inimmaginabili. Lasciami spezzare una lancia a favore del suo genio: a volte sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare. Questo è Elon Musk. E, soprattutto in ambito tecnologico, potrebbe cambiare definitivamente il corso della storia».

L’America trumpiana secondo te finirà per lacerarsi, mentre il modello democratico potrebbe non reggere?
«Hai mai letto il The House Divided Speech di Abraham Lincoln? Era il 16 giugno 1858 e la paura più grande di Lincoln era basata sulla possibilità che il Paese potesse spaccarsi per via della schiavitù. Non a caso, durante la sua presidenza, fu approvato il XIII° emendamento il quale abolì la schiavitù. Alcuni passaggi di quel discorso, riletti oggi, fanno riflettere su come nonostante le leggi tutelino i diritti, il significato stesso di quelle parole, con tutti i distinguo del caso, non è mutato: “Una casa divisa contro se stessa non può reggere” è la metafora che racchiude la paura più grande di una nazione che non era focalizzata sull’immigrazione o sull’aborto come oggi, ma su qualcosa di più importante, sull’umanità stessa. Lincoln stesso disse: “non mi aspetto che la casa cada, ma mi aspetto che cesserà di essere divisa. Diventerà o una cosa o l’altra”. Il significato di queste parole era chiaro: uno fra Nord e Sud doveva cedere. O schiavisti o no. E lo stesso futuro presidente ammise che non sarebbe stata necessaria una spaccatura dell’Unione ma una decisione univoca, nonostante la guerra civile. La polarizzazione che sta vivendo oggi l’America riporta alla mente l’idea di due Americhe – neanche fossero le Calabrie – o di una America rossa e di una blu – come conferma l’istituto Pew Research, il quale afferma che “la polarizzazione politica è una caratteristica distintiva dell’attuale politica americana” – paradossalmente ci riporta con la mente a quelle parole di apertura con le quali Lincoln lanciò la sua campagna, poi persa, per il Senato. 
L’avvertimento morale di Lincoln, oggi più attuale che mai. E deve essere inteso come pietra fondante a prescindere da cosa e come si pensi: si tratta di devozione all’uguaglianza. Arriva un momento nel quale ci si rende conto che non esiste alcun fenomeno al mondo che possa impedire al sole di sorgere, nonostante la notte più buia che si sta vivendo. Il sistema di pesi e contrappesi che gli Stati Uniti possiedono è più forte di un uomo solo al comando, il modello democratico, seppur imperfetto, terrà botta e svilupperà nuovi anticorpi in via del tutto naturale».