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La Corte di Cassazione ha formalmente dato il via libera al Referendum costituzionale sulla riforma Boschi. I sostenitori del No guardano con scetticismo a questo provvedimento. Eppure si avverte da tempo l’esigenza di snellire le funzioni del Parlamento. La sensazione è che vi sia un timore diffuso del cambiamento, alimentato anche da un contesto economico ancora molto fragile e dalle vicende internazionali che rafforzano le posizioni più estremiste. Lei è sempre stato un fautore del riformismo. Quali sono le sue valutazioni?
«La crisi economica diffusa e l'insicurezza internazionale sono tra le cause di un sentimento di paura crescente che fa guardare con sempre maggiore preoccupazione al futuro. Intorno alla preoccupazione verso il domani cresce e si alimenta il populismo e l'estremismo. E le forze politiche che li fanno propri e li cavalcano trovano consensi in tutti gli strati sociali. Tutto ciò mette in sofferenza dal punto di vista della crescita elettorale le forze che hanno una proposta riformista. Negli ultimi mesi nel nuovo e nel vecchio continente ne abbiamo avuto diversi esempi. E naturalmente non sono mancati nemmeno in Italia. Ecco perché occorre rafforzare anche da noi la proposta riformista che oggi sta attraversando una fase di difficoltà, ma che solo qualche tempo fa sembrava finalmente essere diventata maggioritaria nel nostro Paese. Uno dei grandi meriti di Matteo Renzi, insieme a quello di far toccare al Pd percentuali mai raggiunte prima, è stato quello di porsi il problema di dialogare e di provare a rappresentare un elettorato moderato. Da qui anche la giusta intuizione di sedersi allo stesso tavolo con Berlusconi per scrivere insieme le riforme di sistema per ammodernare il Paese. Il cosiddetto patto del Nazareno, di cui fu abile regista e tessitore il mio amico Denis Verdini, ha rappresentato un passo positivo. Purtroppo poi vi fu l'errore grave di Berlusconi di accantonare quel percorso. Ma la strada era ed è quella giusta: alimentare una collaborazione forte tra moderati e riformisti che consenta al Paese di approvare le riforme e di accelerare nel percorso di ripresa».
Questa collaborazione potrebbe essere utile anche per far ripartire la Calabria?
«Certamente del rafforzamento di una proposta riformista c'è bisogno anche in Calabria. Oliverio è persona perbene. Elemento molto positivo da evidenziare viste le opacità diffuse che ci consegna la cronaca quotidiana. Faccio il tifo per la Calabria e per questo spero tanto che Oliverio ce la faccia. Fa bene a puntare il dito contro il cancro rappresentato dai burosauri regionali che sono il grande ostacolo al cambiamento. Mi auguro che i provvedimenti recentemente adottati contribuiscano a far cambiare passo rispetto alle tante attese che si avvertono nei territori. Mi permetto di suggerire, anche alla luce della mia esperienza, di guardare all’interno della macchina. In Regione lavorano anche intelligenze brillanti che possiedono competenze e professionalità che meritano di essere valorizzate.
Lo sviluppo in Calabria è frenato da una burocrazia non sempre amica dei cittadini e delle imprese, ma anche dall’inquietante livello di infiltrazioni della criminalità organizzata. Le recenti inchieste della magistratura rivelano commistioni preoccupanti.
«Sono tra quelli che ritengono che ogni cittadino debba essere considerato innocente fino a sentenza definitiva di condanna. Fissato questo principio irrinunciabile, constato che ciò che emerge dalla lettura delle notizie divulgate è raccapricciante. Le commistioni e le collusioni e alcune volte anche le sovrapposizioni tra politica e criminalità che emergono sono inquietanti. Certo quanto si è detto e scritto è il punto di vista dell’accusa che necessita un confronto con le tesi della difesa e soprattutto un vaglio di un giudice terzo, e, però, è innegabile che occorra reagire senza perdere un attimo. In due direzioni. La prima è quella di chiedere alla giustizia di fare in fretta. E di giungere in tempi rapidissimi ad emettere sentenze. Insieme poi partiti e movimenti devono fare pulizia al proprio interno, facendo accomodare alla porta chi non ha i titoli morali per occuparsi della vita pubblica locale e nazionale. Da questo punto di vista sarà anche importante che il consiglio regionale inizi a valutare la possibilità di dotarsi di una legge elettorale che riduca la possibilità di influenza delle cosche nella scelta degli eletti».
Torniamo a parlare di politica. Nelle recenti amministrative di Cosenza lei ha sostenuto la candidatura di Carlo Guccione. Il risultato dell’esponente del Partito Democratico è stato deludente, forse più per meriti di Mario Occhiuto che per demeriti della coalizione di centrosinistra. Anche se il risultato elettorale è stato condizionato anche dalle questioni che hanno preceduto il voto, dal mancato svolgimento delle primarie al ritiro di Lucio Presta.
«Occhiuto è stato più bravo. Ha costruito una macchina da guerra che non ha avuto eguali. Cosenza è l’unica città in Italia in cui un candidato a sindaco è stato supportato da quindici liste. Un numero esorbitante. Questo spiegamento di forze costruito e alimentato con una gestione del potere sopra le righe, per utilizzare un eufemismo, gli ha consentito di superare abbondantemente il 50 per cento. Per parte nostra saremmo potuti essere competitivi solo mettendo in campo non all’ultimo istante, ma per tempo e con largo anticipo una proposta alternativa credibile. I guai, adesso, sono tutti per Cosenza. Occhiuto è un uomo di potere e agisce con modalità clientelari e per obiettivi familistici. Il suo scopo adesso non sarà governare bene Cosenza visto che non potrà più candidarsi, ma è quello di utilizzare la postazione del comune e tutte le leve ad esso connesse (la pervicacia con la quale, nonostante la legge gli imponga di farlo, non abbandona la poltrona di presidente della Provincia, è emblematica) per mirare alla conquista della presidenza della regione. Per la quale ha già deciso il candidato: il fratello. Ovviamente. Del resto già con la formazione della giunta ha fatto capire cosa aspetta alla città. Fuori i rappresentanti dei quartieri e tutti coloro i quali potevano ascoltare e iniziare a provvedere ai problemi dei cittadini. Dentro figurine utili solo a far parlare di se fuori dai confini di Cosenza. Ecco perché nel primo rimpasto c’è da aspettarsi che chiami Cicciolina».
Torniamo al referendum di autunno. Quale sarà secondo lei l’esito delle urne?
«Non mi piacciono i pronostici ma una cosa posso dirla. Ho l’impressione che il voto sul referendum del prossimo autunno rappresenterà un vero e proprio spartiacque. E delimiterà in maniera netta i campi. Da una parte ci sarà chi vuole che le cose non cambino e restino tali e quali, nell’altro invece si collocheranno tutti quelli che vogliono edificare un Paese più moderno, più efficiente e più giusto. Per parte nostra occuperemo questo campo. Siamo già al lavoro per dare vita ad una rete di comitati per il SI presenti nei più grandi comuni della Calabria. E collaboreremo gomito a gomito con tutti coloro quelli che faranno parte di questo fronte consapevoli che può rappresentare il fulcro di un nuovo soggetto o di una nuova alleanza riformista per il governo del Paese».
Salvatore Bruno