L'inarrestabile aumento dei casi mostra i limiti della politica regionale, che ad otto mesi dall'inizio della pandemia non è ancora in grado di fornire una mappatura certa dell'incidenza del Covid-19 nei territori. Manca pianificazione e prevenzione ma l'ente si preoccupa solo di annunciare la prima del suo nuovo costosissimo cortometraggio (ASCOLTA L'AUDIO)
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Reggio Calabria, casi attivi 316, casi chiusi 377. Il fallimento della Regione Calabria nella gestione della pandemia sta nei numeri. Che non fanno sconti, né permettono appelli. Attualmente nella provincia reggina ci sono solo 71 casi in meno di tutti quelli registrati nel corso di 8 mesi di pandemia. E sono tutti attualmente attivi. Traduzione, mai come oggi, ci sono stati tanti positivi contemporaneamente nello stesso territorio.
La miopia di Regione Calabria
Con buona pace delle ansie promozionali di Regione Calabria, che annuncia la prima del costosissimo corto di Muccino alla Festa del Cinema di Roma, c'è un dato impossibile da nascondere. Nel corso dell’ultimo mese il numero dei contagi è salito vertiginosamente, senza che nessuno dalle parti della Cittadella si preoccupasse della questione, salvo per dichiarare zona rossa e blindare questo o quel Comune, quando i casi di Covid19 hanno superato il livello di guardia. Un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto e sperare che nessuno ci vada a guardare, mentre fuori dai confini dei centri urbani blindati per coronavirus programmazione e prevenzione sono rimaste illusioni o al massime blande raccomandazioni, sbugiardate da tarantelle e aperitivi istituzionali.
Pianificazione, questa sconosciuta
Ma l’esplosione dei contagi che interessa l’intero territorio calabrese, costringe a chiudere scuole e mandare in quarantena intere classi, non è frutto del caso o di fatali congiunture astrali, ma di una politica schizofrenica passata dall’invocare i carri armati ai confini al “Riapriamo tutto, subito, per tutti”, con un’unica costante: l’incapacità di prevenire il diffondersi dell’epidemia, l’ostinata cecità con cui ci si è limitati a rincorrere gli eventi. In sintesi, capacità gestionale zero.
La condanna senza appello dei numeri
A dirlo sono i numeri. Quelli che abbiamo e quelli che non abbiamo. E non solo quelli assoluti, che raccontano di contagi giornalieri che superano di gran lunga quelli registrati quotidianamente fra marzo e aprile, fatta eccezione per il record di 94 nuovi positivi in un giorno, raggiunto con l’esplosione del caso Chiaravalle, rsa diventata la tomba di un terzo dei morti per Covid19 in Calabria, di cui nessuno ha ancora avuto la decenza di assumersi la responsabilità.
Percentuali in calo fino a luglio
Ad impressionare oggi è la costante progressione nell’aumento percentuale dei contagi in rapporto ai test effettuati. Da quando il dato dei tamponi si è stabilizzato sui mille al giorno – era più o meno il 24 aprile, quasi alla fine del lockdown – solo di rado la percentuale di positivi ha superato l’1% dei soggetti testati. Anzi, per mesi, non si è andati oltre allo 0,3-0,6, fino ad arrivare ai contagi zero di maggio-giugno-luglio, con invidiabile media rotta solo da qualche eccezione, il più delle volte legata a soggetti che –arrivati in Calabria da fuori dopo mesi di esilio – hanno avuto l’accortezza di testarsi prima del consueto giro di saluti fra parenti e amici.
I segnali di allarme di Ferragosto
Ad agosto le cose sono cambiate. Mentre la governatrice Santelli assicurava che «l’unico rischio in Calabria è quello di ingrassare» e dava il via libera persino alle discoteche, la sua Regione continuava a chiedere solo un obbligo di registrazione all’ingresso sostanzialmente inutile perché non legato ad alcun test e i suoi assessori si reinventavano dj, i contagi hanno iniziato ad aumentare. Ci è voluto il disastro sfiorato tra le discoteche di Soverato e dintorni per convincere la governatrice ad emanare in fretta e furia un’ordinanza di chiusura dei locali notturni e obbligare all’uso della mascherina, ma solo dopo le 18. Evidentemente le task force– strano incrocio fra fantasmi e pachidermi - reclutate e ingrassate nei mesi di pandemia e neanche consultate prima di partorire fantasiose ordinanza come la "Riapribar" impugnata dal governo e annullata dai giudici, devono averle suggerito che il Covid19 ha ambizioni da vampiro.
Il conto salato di una stagione senza controllo
Misure nella miglior ipotesi tardive. Perché mentre la governatrice strillava contro gli sventurati colpevoli solo di essere sopravvissuti ad una traversata del Mediterraneo e sbarcati sulle coste calabresi – dove sono stati tutti sottoposti a tampone, intruppati e messi in isolamento, quindi ritestati e poi (forse) immessi nel circuito dell’accoglienza – in Calabria gli aperitivi di ben tornato si trasformavano in focolai, i party in veicolo di contagio di decine di persone alla volta e interi paesi finivano per diventare zona rossa o quasi, causa matrimoni et similia. Provvedimenti? Zero. Contact tracing? Se è vero che i focolai continuano a saltar fuori come funghi a settimane dai vari eventi, scarso. Risultato, oggi che i tamponi sono aumentati fino a toccare quota 1500 e oltre, il rapporto fra test e positivi accertati è lievitato fino a 2,6-2,7%.
Reparti sguarniti e dotazioni sanitarie al minimo
Numeri più bassi – si dirà – rispetto alla media nazionale. Vero, quanto meno al momento e se non si considera che la Calabria è stata sostanzialmente risparmiata dall’epidemia. Il problema è che quelli che rimangono straordinariamente più bassi sono anche i numeri delle terapie intensive attivate – sei sulle oltre 150 attese – sulle dotazioni di personale, sulle Usca. Gli annunci della governatrice – denunciano anche i sindacati dall’interno delle strutture ospedaliere – sono rimasti sulla carta, i reparti sono rimasti con il personale ridotto all’osso, anche grazie a quelle direzioni sanitarie che hanno ben pensato di spedire obbligatoriamente in pensione in fretta e furia chi avesse raggiunto i 40 anni di servizio e compiuto i 65 anni d’età. Logico in un Paese e soprattutto in una Regione in cui sono stati sbattuti in reparto pensionati da anni e specializzandi.
Rafforzamento sanitario rimasto libro dei sogni
La misura dello iato fra promesse e realtà l'aveva fornita anche il commissario Cotticelli – dimissionario? - nei due dca di giugno e luglio scorso, quando ha ripreso in mano la sanità regionale, affidata dal governo alla presidente della Regione durante la fase 1 e 2. Terapie intensive a distanza siderale dal numero annunciato, mistero sulle subintensive, Usca (le unità di sanitari che dovrebbero occuparsi di terapie e monitoraggi domiciliari e assistenza) ridotte all’irrilevanza, piano di monitoraggio delle Rsa rimasto su carta. E Santelli? Quando non polemizza su facebook, dicendo a chi le chiede conto dello stato della sanità di rivolgersi al commissario, ecco che tira fuori dal cilindro un’altra figura professionale, per come è congegnata utile come l'uomo mandato a svuotare il mare con il cucchiaino: l’infermiere scolastico.
Strategia della confusione?
Con ordinanza –emessa tanto per cambiare senza neanche sedersi al tavolo con le associazioni di categoria – ha autorizzato le Asp a procedere con circa 350 assunzioni, una per ogni istituto scolastico. Gli stessi che hanno aperto in ordine sparso perché – anche qui – la governatrice non ha ritenuto opportuno sedersi con i sindaci per valutare i tempi necessari per la sanificazione delle scuole scelte come seggio elettorale. E gli stessi che hanno chiuso in ordine sparso, causa contagi a catena. Anche perché non pare che la campagna di sierologici fra insegnanti e personale abbia avuto grande successo, né che qualcuno si sia preoccupato di lavorare perché lo avesse.
L’incidenza del Covid19 in Calabria rimane sconosciuta
E qui si viene ai numeri che non ci sono. Cosa si sa dell’epidemia che sta (ancora) investendo (anche) la Calabria? Poco e niente. L’unico dato certo al momento è il numero dei guariti, ergo – almeno stando a quanto affermato dalla maggior parte della comunità scientifica - immuni. Sono – da bollettino regionale – 1356, oltre ai misteriosi 111 guariti del gruppo “Fuori regione”, in cui – pare – si includano anche i migranti arrivati sulle coste calabresi e che qui rimangono quanto meno per la quarantena obbligatoria, ma che per il cervellotico report evidentemente sono da collocare in una galassia a parte. Per il resto? Buio. La riflessione sui sierologici da acquistare e mettere a disposizione della sanità annunciata dalla governatrice Santelli ad aprile, a quanto pare è ancora in corso. Nel frattempo i privati li fanno (ovviamente a pagamento) da mesi, ma nessuno si è neanche premurato di raccogliere quei dati per provare a tracciare una mappa vagamente verosimile dell’epidemia. Traduzione, si continua a navigare a vista, inseguendo i focolai via via che si sviluppano, senza neanche poter immaginare quanti immuni ci siano in Calabria e dove.
Quale prevenzione?
Anche sul fronte della prevenzione, non c’è da stare allegri. Anzi. Al netto di poco credibili raccomandazioni su distanziamento e mascherine, sbugiardate da sfrenate tarantelle, c’è poco da registrare. E dire che le situazioni a rischio sono note. Un esempio per tutti, la Piana di Gioia Tauro. Inutilmente per mesi sindacati, associazioni e comitati si sono sgolati nel chiedere soluzioni abitative decorose per i braccianti africani, programmi di screening e assistenza sanitaria, una campagna di accertamento su chi davvero lavora nei campi. La Regione si è limitata a far la ruota come un pavone per i quattro spicci che ha distribuito fra varie associazioni e organizzazioni umanitarie che si sono impegnate a fare monitoraggio sanitario, ma senza neanche la possibilità di fare un tampone o di distribuire dpi, perché nessuno glieli ha forniti. Le promesse di case, sono svanite insieme all’eco degli annunci. E i braccianti africani – che la regolarizzazione monca prevista dal decreto Rilancio ha tagliato fuori – sono rimasti ad affollare gli insediamenti informali, in alcuni casi senza acqua corrente.
Zona rossa al campo container e la stagione è appena iniziata
Nessuno, se non sindacati, associazioni e comitati, si è preoccupato di fare neanche uno straccio di campagna informativa, nessuno si è preoccupato di andare a controllare se nelle cucine di ristoranti, locali e bar, nei campi e nelle serre si rispettassero le prescrizioni antiCovid, nessuno ha risposto alle richieste di supporto degli sportelli sociali e legali che operano sul territorio e in questi mesi hanno aiutato braccianti e lavoratori a lasciare la tendopoli, affittando appartamenti.
La situazione nella Piana è stata sostanzialmente derubricata fra le non prioritarie, contando sul progressivo e consueto svuotamento estivo, quando i lavoratori si spostano in altre zone per lavorare come stagionali nei campi o nei locali. Risultato, un focolaio al campo container dichiarato zona rossa e alcuni sospetti positivi alla tendopoli. E solo pochissimi dei braccianti che ogni anno affollano la Piana per la stagione degli agrumi hanno fatto ritorno. Un problema di tutti, non solo di chi vive lì. E non semplicemente perché l’epidemia è democratica e non sterza se il colore della pelle è diverso. Ma anche perché – forse finalmente lo si capirà – senza i braccianti africani la Piana è destinata a fermarsi. Un concetto già spiegato a chiare lettere nei mesi del lockdown dalle associazioni dei produttori (non esattamente l'Internazionale bolscevica) e bellamente ignorato.
Errare è umano, ma la Regione persevera
E non è l'unico. Anche sul fronte dell’economia, la Regione continua a inanellare disastri. Se la pandemia e la sua evoluzione rimangono un mistero per Regione Calabria, totalmente inerti sembrano governatrice e Giunta nel mitigarne gli effetti. Su misure come “StaiinCalabria” e “InCalabria” è stato lo stesso esecutivo regionale a riconoscere il clamoroso flop, salvo poi riproporle. Non ci sono dati poi sulle mance distribuite a pioggia fra gli imprenditori, perché anche qui, all’annuncio segue il buio. Ma è su quello che neanche è stato immaginato che l’incapacità di pianificazione di Santelli e della sua Giunta si mostra in modo più palese.
Un’occasione perduta
Al termine del lockdown, migliaia di giovani calabresi sono tornati a casa, approfittando dello smart working. Molti di loro, dopo mesi passati al Nord Italia ad affrontare da soli l’epidemia che lì ha mostrato il suo volto più feroce, avrebbero volentieri mollato tutto in cambio di un lavoro decoroso al Sud. Un’opportunità unica per la Calabria, che da decenni piange l’emigrazione dei suoi giovani. Ma le prefiche a comando sui cervelli in fuga – rimpianti in tempi di pace e bollati come untori e chiusi oltreconfine (regionale) nei mesi della pandemia – su quel fronte non hanno fatto nulla. Non un incentivo, niente corsi di formazione (più volte promessi), nessuna interlocuzione con le università. Nessun progetto in grado di guardare oltre una stagione turistica lasciata in mano all’anarchica fantasia – per non dire al ingordo arbitrio – di gestori che hanno archiviato il Covid19 fra festini, party e serate. Ma l’estate finisce, anche se l’autunno sembra concedere ancora tempo per tarantelle. I numeri però non mentono e la realtà non è un corto dal costo astronomico proiettato ad un festival a Roma. Soprattutto se il rischio è che la Calabria venga nuovamente bloccata da una pandemia che la Regione non ha saputo o voluto controllare.