Quanto successo ieri durante il consiglio comunale di Catanzaro ha certificato un dato su cui riflettere. Il riferimento è al fatto che i prossimi cinque anni di consiliatura si reggeranno forse più sulla crisi dell’occupazione, con la conseguente volontà di non abbandonare un guadagno sicuro fino al 2027 da gran parte degli eletti a Palazzo De Nobili, che sulla politica.

Quella che dovrebbe ad esempio far nascere una qualunque maggioranza e un’opposizione ben identificate, e soprattutto identificabili da quanti hanno espresso le proprie preferenze nelle urne, e quindi non certo fluttuanti con schieramenti pronti a comporsi e scomporsi soltanto per tenere in piedi la… baracca. Prospettiva assai grama per un capoluogo che sognava la svolta all’insegna di un vento finalmente cambiato.

Affermazioni confermate dall’approvazione di un provvedimento chiave per ogni ente pubblico quale il bilancio (seppur nella fattispecie praticamente ereditato in toto dalla precedente Amministrazione), che circa 24 ore fa è passato con 14 voti favorevoli, altrettante astensioni e 2 contrari.

Un esito emblematico, perché basti pensare a come se i 14 astenuti (facenti capo a ciò che resta di Rinascita, meno i due Costanzo, Sergio e Manuela, Luigi Levato e forse a breve pure Francesco Scarpino e chissà magari persino Giorgio Arcuri, i quali al di là dell’ultima votazione sono annoverati dai soliti boatos tra i fioritiani della fase post ballottaggio, malgrado i diretti interessati neghino recisamente) si fossero determinati per il no, il Comune sarebbe finito in esercizio promissorio ad appena un mese scarso dalla vittoria di Nicola Fiorita.

Una sorta di game over che sarebbe arrivato quasi prim’ancora di iniziare a operare in modo concreto. Altro che falsa partenza, insomma. Uno schianto al decollo, semmai. Ma quanto avvenuto dopo ha ulteriormente enfatizzato la situazione paradossale venutasi a determinare con “l’anatra zoppa”, ovvero sulla base di una legge per cui si possono avere una maggioranza assembleare e un sindaco di segno opposto.

Ecco allora che la soluzione trovata dai donatiani di uscire dall’Aula sulla pratica successiva al rendiconto finanziario, ossia l’elezione di presidente e vice del civico consesso - sebbene la permanenza nell’assise dei citati Costanzo e di Levato e la malavoglia di Scarpino, che avrebbe detto a chiare note ai suoi referenti di non essere più disposto ad abbandonare anzitempo il Consiglio in futuro - non ha fatto altro di aumentare il caos.

Perché se è vero che nessuno, compreso ovviamente prima di tutti Fiorita, per un motivo o un altro vuole andarsene a casa è analogamente acclarato come i superstiti di Rinascita quando vorranno, pur non potendo agire in maniera compatta, condizioneranno pesantemente le scelte del centrosinistra.

Una coalizione che dovrà fare i salti mortali per ottenere la presidenza dell’assemblea in cambio di cui dovrebbe però cedere il passo su quelle delle Commissioni o delle Partecipate. Altrimenti, niente da fare. Tant’è vero che c’è il sospetto di una dilazione della data della prossima seduta da parte del consigliere anziano Eugenio Riccio, il quale in mancanza di un presidente eletto continua a coordinare l’assemblea avendo come ovvio molta voce in capitolo pure sulle convocazioni per la ripresa dei lavori. Attenzione, quindi, al tempo che passa. Che potrebbe peraltro essere decisivo per le sorti di Gainmichele Bosco al vertice del Consiglio.