Trionfano i sindaci di sinistra. Il Pd di Irto passa all'incasso. Il centrodestra si lecca le ferite a Catanzaro. Ma le Politiche saranno un'altra cosa (ASCOLTA L'AUDIO)
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Vince quel che resta della politica, perde il falso civismo della partitocrazia. L'esito dei ballottaggi, in Calabria, non consente interpretazioni diverse.
A Catanzaro, Acri e Paola vincono le proposte politicamente più riconoscibili, le più strutturate, quelle più credibili e lineari. E sono tutte proposte di stampo progressista. Sicché si può ben dire che l'onda lunga della vittoria del centrosinistra alle Amministrative è arrivata anche in Calabria, che per una volta non viaggia in direzione ostinata e contraria ma si allinea alla tendenza nazionale.
Nicola Fiorita a Catanzaro, Pino Capalbo ad Acri e Giovanni Politano a Paola sono sindaci di sinistra. Ma non è possibile comprendere il lascito di queste elezioni senza considerare il suicidio di un centrodestra pasticcione e litigioso, capace di regalare al «campo largo» Pd-M5S, tutt'altro che in salute, il capoluogo di regione.
Il caso Catanzaro
I catanzaresi hanno premiato la coerenza di Fiorita e la riconoscibilità di un progetto politico iniziato nel 2017. I dati parlano chiaro e raccontano di una vittoria schiacciante contro un avversario che, consapevolmente o meno, si è trovato alla testa di un'ammucchiata informe, nella quale partiti come Lega e Forza Italia hanno preferito nascondere i propri simboli pur di tenere in piedi un civismo fake e di non correre rischi nell'anno delle Politiche.
Complice la scissione, poi inutilmente rientrata al ballottaggio, di Fratelli d'Italia di Wanda Ferro, il centrodestra è riuscito a dar vita al più grande dei paradossi: essere stragrande maggioranza in città senza tuttavia governare il Comune.
Trionfa la politica pure ad Acri, dove viene riconfermato l'uscente Pino Capalbo, a capo di uno schieramento nel quale abbondano le sigle di partito: Pd, Psi, Azione, Psi, Articolo Uno. Bocciata, invece, la proposta fintamente civica di Natale Zanfini, sostenuto dai principali partiti di un centrodestra anche qui mascherato. Ha vinto la buona amministrazione di Capalbo, ma anche la sua capacità di mettere in piedi una coalizione con una matrice politica ben precisa, a differenza di Zanfini, che ha sperato fino all'ultimo in un sostegno, addirittura, del M5S.
Queste Amministrative hanno insomma ribadito che il trasversalismo, nelle urne, non sempre paga. Così come non pagano le giravolte repentine, nonché politicamente ingiustificate. Tipo quella di Roberto Perrotta, sindaco uscente di Paola, che da politico di centrosinistra ha spinto i suoi elettori a votare per Emira Ciodaro, a sua volta supportata da Fi e, a suo dire, perfino dal presidente della Regione Roberto Occhiuto, che a onor del vero ha partecipato a queste Comunali nelle semplici vesti di spettatore silenzioso.
Ai paolani, in definitiva, è apparso più coerente il cammino politico di Giovanni Politano, che pure non è stato il massimo della linearità, dal momento che la sua vittoria è stata propiziata dalle liste vicine a un big del Pd come Graziano Di Natale e all'assessore regionale di Fdi Fausto Orsomarso.
È stato dappertutto il voto della confusione, della intraducibilità politica. E gli elettori hanno premiato i racconti più omogenei, quelli meno contraddittori.
Sono perlopiù mancati i partiti e le loro liturgie, assenze che hanno prodotto effetti surreali. Come quello che si è consumato sotto traccia nella Giunta regionale, dove siedono assessori diventati avversari nei territori: a Catanzaro Orsomarso e Filippo Pietropaolo erano in prima linea per Wanda Ferro e contro Donato, teoricamente sostenuto dal governatore e dalla leghista Tilde Minasi; a Paola il berlusconiano Gianluca Gallo era al fianco di Ciodaro e dalla parte opposta rispetto a Orsomarso.
Sorride il Pd
In questo pot-pourri, l'unico partito che può passare all'incasso è forse il Pd, perché suo è il candidato che, dopo 20 anni di dominio quasi ininterrotto, ha strappato il capoluogo al centrodestra. Il segretario regionale Nicola Irto, malgrado un tutt'altro che esaltante 5,8% al primo turno, ha avuto gioco facile nel rivendicare il successo di Fiorita con un efficace «ce l'abbiamo fatta». Si è realizzato così il trittico dei tre maggiori capoluoghi di provincia – Reggio, Cosenza e Catanzaro – che ora «appartengono al centrosinistra».
Per Irto sono «fatti concreti che dimostrano che siamo sulla giusta rotta». La rotta che, ovviamente, porta alle prossime Politiche, quelle nelle quali il segretario dem conta di ottenere una consacrazione definitiva: per il partito che ha ereditato solo pochi mesi fa e per la sua leadership.
Il Pd calabrese arriverà all'appuntamento più atteso forte di un successo che è già stato monetizzato dal Nazareno. «Nel risultato straordinario che ci soddisfa pienamente», parole di Enrico Letta, rientra a buon diritto pure Catanzaro.
Ha invece poco da rallegrarsi il referente calabrese del M5S, Massimo Misiti. L'apporto dei grillini alla causa di Fiorita è stato minimo (2,7%) già prima della scissione di Di Maio e ha dimostrato una volta di più che i pentastellati, in Calabria, nonostante il boom elettorale del 2018, non hanno messo radici. Il nuovo proposito di Letta, che sarebbe pronto a mettere da parte il campo largo per puntare su un «nuovo Ulivo», di certo non può essere una buona notizia per il Movimento.
Le Politiche
Le Amministrative, da Nord a Sud, erano l'ultimo test – eccezion fatta per le Regionali siciliane d'autunno – prima del voto per il rinnovo del Parlamento. Il centrodestra le ha palesemente perse, più per demeriti propri – esemplare, oltre al caso Catanzaro, quello di Verona – che per il buono stato di salute del laboratorio progressista.
Le Politiche saranno però tutt'altra cosa. Difficile immaginare un nuovo harakiri di Meloni, Salvini e Berlusconi, i quali, con ogni probabilità, ricompatteranno la coalizione al momento giusto per tentare di tornare al Governo.
Le Comunali dicono che il centrosinistra sa approfittare dei passi falsi altrui. Ma anche che il centrodestra, se non si spacca e non si camuffa, è ancora maggioranza nel Paese.