Da una parte il taglio miliardario del fondo pensato per colmare il divario Nord-Sud, dall’altra una riforma che non dà certezze né sulla spesa né sui diritti. Non sono valutazioni politiche, lo dicono i numeri presentati in Parlamento: 56 pagine depositate in Commissione parlamentare per le questioni regionali nelle quali non mancano le sottolineature da matita blu per le scelte del governo.

La memoria dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) è stata depositata ieri, in occasione dell’audizione sulla determinazione dei Lep, il perno intorno a cui ruota la riforma del governo sull’Autonomia differenziata. Non è la prima volta in cui un documento interno boccia, di fatto, la riforma Calderoli. Nel primo caso si parlò di un parere "sfuggito" agli uffici, questa volta la relazione ha il timbro dell'ufficialità. Il provvedimento rischia di aumentare i «divari» sui territori, scrive il consigliere dell’Upb, Giampaolo Arachi. Se per il Sud è sicuramente un problema, le incognite valgono anche per il Nord del Paese. Per i tecnici l’autonomia differenziata sarà una sorta di “liberi tutti”: rischierà di allargare la distanza tra ricchi e poveri con effetti imprevedibili anche per le regioni settentrionali.

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La relazione affronta dal punto di vista tecnico le conseguenze del Sì del Senato al Ddl Calderoli. Non è (e non potrebbe esserlo) una bocciatura, ma evidenzia i “buchi” normativi da colmare. L’Upb constata «che la determinazione puntuale dei Lep è da rinviare a una fase successiva e che costituisce un’attività prettamente politica per le conseguenze che implica dal punto di vista finanziario, allocativo e distributivo».
Il campanello d’allarme, ancorché tecnico, suona forte e chiaro: «Sembra si confermi che il percorso attualmente avviato debba portare essenzialmente alla sistematizzazione dell’esistente, escludendo processi di superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti sociali che permangono nell’ambito di servizi e funzioni per i quali oggi non sono presenti Lep di alcuna natura».

Altro che Lep, i divari sono destinati a restare tali o addirittura ad aumentare: una sorta di istituzionalizzazione della spaccatura del Paese. Peraltro, se i diritti fossero determinati in maniera analitica «potrebbero derivare maggiori standard di servizio, in media, rispetto a quelli attualmente garantiti, con conseguenti maggiori costi per la finanza pubblica e questo andrebbe conciliato con i vincoli di bilancio». Il punto è che la riforma è attualmente a costo zero per le casse dello Stato.
Il documento è un elenco di cosa bisognerebbe fare per evitare che la macchina dell’Autonomia vada fuori strada.

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In questo senso compaiono molti rilievi e una conferma sul taglio del fondo perequativo infrastrutturale destinato al Meridione. In questo caso la notazione va oltre il semplice contenuto tecnico e l’Upb ribadisce «l’estremo ritardo nell’attuazione della perequazione infrastrutturale». Prevista dal 2009, è stata riavviata nel 2021. Ma «a distanza di due anni dalla data fissata per il termine della ricognizione, quest’ultima non è stata ancora presentata e la dotazione finanziaria del Fondo per la perequazione infrastrutturale (Fpi), originariamente pari a 4,6 miliardi, è stata ampiamente ridimensionata».

Il fondo, dopo i primi utilizzi e il definanziamento di 3,5 miliardi stabilito con la legge di bilancio per il 2024, ammonta a 900 milioni. Non sono stati pubblicati documenti ufficiali, ma «contatti interistituzionali suggeriscono che la ricognizione infrastrutturale sia stata comunque completata e che le evidenze mostrino il maggiore fabbisogno infrastrutturale delle Regioni del Mezzogiorno». Tradotto: gli elementi per intervenire ci sono, il Sud è in grave ritardo ma il Governo ha deciso di tagliare le risorse che potrebbero aiutare a chiudere il gap.

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In questo senso, il rapporto è molto chiaro e contiene un appello al rilancio delle attività di perequazione avviate nel 2021: «Sebbene la dotazione del Fpi fosse limitata sia in termini quantitativi che di durata, il fondo adottava un approccio alla perequazione infrastrutturale che superava il criterio di ripartizione delle risorse basato su quote – che segue un approccio di tipo negoziale – passando a un criterio più oggettivo, basato su indicatori, che rispecchia esclusivamente i divari infrastrutturali da colmare». Lo strumento potrebbe essere efficace per intervenire «nelle realtà più sguarnite, che hanno anche maggiori difficoltà ad attivarsi per accedere ai fondi assegnati su basi competitive, come dimostrato dall’analisi sugli esiti del Piano degli asili nido nel Pnrr prima della sua rimodulazione».

Il rischio di spaccare l'Italia in due

Tornando ai Lep, si va verso un aumento dei costi per le regioni meridionali con l’individuazione dei Livelli essenziali di prestazione previsti dall’autonomia differenziata. «L’eventuale fissazione di nuovi Lep per servizi su cui le norme attuali non garantiscono l’uniformità sul territorio (come accade, ad esempio, per il tempo pieno nelle scuole) richiederà invece un incremento di spesa nelle regioni con livelli di fornitura più bassi», evidenzia il dossier. Tradotto: esborsi maggiori a fronte di un servizio probabilmente di minore qualità pure sull’istruzione. Una questione più pressante per le regioni meridionali, Calabria in testa. «Qualche ente potrebbe ricevere risorse inferiori a quelle necessarie a finanziare i Lep in base alle valutazioni nazionali», prosegue il documento dell’Ufficio, evidenziando che «non è chiaro come dovrebbe essere assicurata la coerenza tra la garanzia del finanziamento dei Lep su tutto il territorio, attraverso la copertura dei relativi costi standard, e l’applicazione di criteri difformi per la valutazione dei fabbisogni standard nelle diverse regioni». Il rischio è che l’Italia venga tagliata in due.