C'è una notevole dose di involontario sarcasmo nella diatriba che divide il quotidiano Libero, diretto da Alessandro Sallusti, e la storica Fondazione milanese Asilo Mariuccia, onlus istituita 120 anni fa con scopi benefici. Come, per altri motivi, la bistrattata “casalinga di Voghera”, suo malgrado anche l’Asilo Mariuccia ha finito per diventare un eufemismo negativo, sinonimo di confusione e pressapochismo, forse a causa del diminutivo che poi era quello di Maria, figlia dei fondatori, morta a 13 anni di difterite e chiamata affettuosamente, appunto, Mariuccia.

Resta il fatto che l’espressione “sembra l’asilo Mariuccia” piace molto a Libero, che spesso l’associa al Pd per sottolinearne gli atteggiamenti politicamente infantili e litigiosi. L’ultimo titolo, però, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Venerdì scorso, infatti, il giornale ha pubblicato un pezzo di politica dal titolo “Dieci ore di dibattito fantozziano. Il Pd è diventano l'asilo Mariuccia”, un resoconto impietoso della direzione dem, con i suoi 80 interventi.

Troppo per la Fondazione Asilo Mariuccia, che ha dato mandato ai propri legali di diffidare Libero dal ricorrere in futuro a questa associazione d'idee. Dal canto suo, il direttore Sallusti ha firmato una replica intingendo la penna nell’ironia e chiedendo scusa: «Non volevamo mica offendere. Invochiamo comunque un minimo di comprensione. Qui ormai ad accostare al Pd a qualcuno o qualcosa si rischia grosso. Il manicomio di Collegno e il circo Barnum pare abbiano torme di avvocati aggueritissimi. Lasciamo perdere anche la banda dell'Ortica che ha già i suoi problemi». Dunque, l’alternativa, propone Sallusti è «provare ad confrontare la direzione del Nazareno con il sempreverde bar di Guerre Stellari, sperando che nello spazio non arrivino copie di Repubblica e non conoscano le fosche trame di Bettini e Letta, ma il rischio di vedersi arrivare un alieno sabipode sotto la redazione con un fucile laser non è da sottovalutare».

Una cosa è certa: che vinca o perda, il Pd continua a litigare, incapace finalmente di crescere. Quello che un tempo era considerato un valore della dialettica politica a sinistra, la famigerata autocritica di stampo leninista-marxista che scattava dopo le sconfitte, è diventata una barzelletta. Un meme, diremmo oggi, senza scomodare il glorioso Asilo Mariuccia.

«No, il dibattito no!», già implorava Nanni Moretti nel suo primo lungometraggio - “Io sono un autarchico” del 1976 - di fronte alla prospettiva di noiosissimo (e inutile) confronto dopo la visione di un altrettanto noiosissimo film d’essai. Esortazione che probabilmente ha attraverso la mente di molti dei partecipanti alla direzione fiume di venerdì scorso.

Perché in realtà sarebbero basti pochi minuti per inquadrare i motivi della sconfitta alle Politiche del 25 settembre scorso: il Pd non parla alla gente, e quando ci prova non si fa capire, concentrandosi su una difesa d’ufficio di principi e diritti civili che poi, nella vita della gente comune, vengono spesso travolti dal postino che porta bollette e fatture; il Pd non esprime una leadership carismatica, a differenza della destra, e ignora, in maniera incredibilmente autolesionista, quella che è sempre stata la linfa vitale della sinistra: i giovani.

Sono cose che sanno tutti, a cominciare dagli elettori delusi. Impiegare 10 ore per mettere in fila tali ovvietà, e magari litigare come all’asilo mentre si cerca di sopravvivere al “dibattito”, è essa stessa un’evidenza dell’inadeguatezza di questo Partito democratico.