I numeri di una questione che è (anche) europea: la mobilitazione per il referendum spera in una «controffensiva» di genere. Il divario con il Nord illumina un problema strutturale: lo Stato non aiuta le mamme del Mezzogiorno che continuano a sacrificare le loro ambizioni per la famiglia
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«Con l'Autonomia differenziata la condizione delle donne siciliane peggiorerà». E sarà così per tutto il Sud, «uno degli effetti di una misura che indebolirà complessivamente il Mezzogiorno andando a incidere negativamente su servizi essenziali come sanità e scuola, sulle infrastrutture, sullo sviluppo e il lavoro. E a farne maggiormente le spese saranno i soggetti, come appunto le donne ma anche i giovani, che hanno già una posizione di debolezza nel mercato del lavoro».
A inaugurare il nuovo fronte è il manifesto che sarà presentato in Sicilia ed è intitolato “La controffensiva delle donne all’Autonomia differenziata”. Non a caso l’appuntamento è a Nicosia, in provincia di Enna, davanti al punto nascita dell’ospedale. La precarietà delle donne e le difficoltà che si vivono nelle aree interne: due vittime annunciate della riforma Calderoli.
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Dati e prospettive fanno dire a Svimez che il tema del lavoro delle donne al Sud è una questione europea. Una di quelle materie in cui il divario Nord-Sud è netto e cristallizzato. «Il divario di genere nelle opportunità di accesso e carriera nel mercato del lavoro – argomenta l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – rimane un tema fortemente attuale nel nostro Paese, e particolarmente allarmante nel Meridione. Le regioni del Sud occupano le ultime posizioni nella classifica europea per tasso di occupazione femminile: circa sette donne su dieci non lavorano; a livello nazionale, la percentuale si attestava al 57,3% a fronte di una media europea del 65%».
La mappa restituisce plasticamente le differenze regionali: il Sud mostra tassi di occupazione femminile tra il 31 e il 35%; al Centro-Nord si raggiungono punte del 62%. La Cgil si aspetta, per cancellare la legge, «un forte contributo» dalle donne «che invece di vedere diminuiti divari e migliorata la loro condizione la vedranno senza dubbio peggiorare».
Altri numeri che aiutano a inquadrare il caso: l’indagine straordinaria sulle famiglie italiane della Banca d’Italia mostra come, durante le sospensioni scolastiche connesse alla pandemia, il lavoro di cura sia ricaduto sul genitore che non lavorava (solitamente la madre) nel 61% dei casi nel Mezzogiorno (41,5% nel Centro-Nord). Allo stesso tempo, al Sud, i genitori hanno fatto meno ricorso allo smart working (4,1% contro il 17,6% nel Centro-Nord). La pandemia, peraltro, «ha fiaccato – riporta Svimez – maggiormente l’occupazione femminile, allargando la forbice con gli occupati maschi, compromettendo anche le opportunità di progressione delle madri. Più in generale, a livello nazionale, nel 77% dei casi, le convalide di dimissioni di genitori con figli tra 0 e 3 anni è ascrivibile alle donne, principalmente con profilo impiegatizio (53%) e operaio (39%)».
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È un problema di sistema: al Sud ci sono meno possibilità per svolgere attività extra didattiche e sono le donne a mettere in secondo piano le proprie ambizioni lavorative per sopperire alle carenze dello Stato. Ovviamente si sconta la mancanza di un welfare e di politiche che incentivino la conciliazione famiglia-lavoro. In questo senso, l’Autonomia differenziata rischia di cristallizzare disagi e differenze, assieme al gap per la condizione femminile.
E la condizione attuale dice che «al Sud la condizione di genitorialità per le donne risulta ancora più penalizzante in ambito lavorativo, specialmente se con figli in età prescolare: solo il 37,8% delle madri meridionali con figli fino a 5 anni ha un lavoro (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%). Dati allarmanti che ci restituiscono l’immagine di un Mezzogiorno ancora schiacciato sul male breadwinner model, un modello di sostentamento economico delle famiglie prevalentemente maschile». Lo Stato non aiuta le donne meridionali e questa versione della riforma rischia di lasciare tutto com’è.
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Il problema è strutturale e non regge neppure la spiegazione del più basso grado di scolarizzazione delle donne tradizionalmente utilizzata per motivare la “segregazione” femminile sul mercato del lavoro. Per Svimez il dato è contraddetto dall’evidenza empirica: «I divari di genere nei tassi di occupazione e nelle retribuzioni persistono nonostante i percorsi formativi delle donne siano divenuti nel tempo più ambiziosi di quelli degli uomini».
Nel confronto europeo, invece, la quota di donne italiane laureate è sensibilmente più contenuta: nessuna regione italiana presenta un valore pari o superiore alla media. Valori particolarmente bassi si osservano in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Italia tra le ultime in Europa, il Sud staccato dal resto del Paese. Uno schema che si ripete, al quale l’Autonomia differenziata à la Calderoli offre risposte insufficienti, che rischiano di affossare il Sud e non tireranno il Nord fuori dalle secche della crisi.