A Reggio regna il caos. Tra fughe in avanti, passi indietro e trattative estenuanti l’amministrazione targata Giuseppe Falcomatà rimane appesa ad un filo anche se l’ormai ex primo cittadino entro 24 o al massimo 48 ore darà seguito alla presentazione del ricorso rispetto alla sospensione, occorsa per effetto della Legge Severino dopo la condanna ad un anno e 4 mesi rimediata nell'ambito del Processo Miramare, che seguirà l’iter ordinario in Tribunale, sperando in una sospensiva che gli permetta di tornare in sella.

E tuttavia, dal giorno della condanna notificata dalla Prefettura a Palazzo San Giorgio è successo tutto e il contrario di tutto. Da sinistra a destra si prova a fare la mossa decisiva senza però giungere ad una decisione definitiva sul da farsi. Di certo c’è che la sospensione del sindaco Falcomatà per motivi diversi è diventata un vero e proprio caso, in cui l’ultima parola spetterà ai partiti nazionali.

Il Pd ago della bilancia

Al Nazareno non è andato giù l’atteggiamento del primo cittadino che, in solitudine e senza alcun coinvolgimento, ha nominato per il Comune e la Città metropolitana rispettivamente un renziano di Italia Viva (Paolo Brunetti) e un calendiano di Azione (Carmelo Versace) quali facenti funzione. Sul punto il responsabile degli Enti locali del Pd, Francesco Boccia (ma anche Giuseppe Provenzano), è stato categorico, nella direzione di chiudere definitivamente l’esperienza di Falcomatà, non accettando le spiegazioni del primo cittadino secondo cui le nomine dei facenti funzione sono scelte strettamente personali e non legate ad accordi partitici.

Ma a frenare, rispetto al ritorno repentino al voto, è stato il livello provinciale del Pd che si è aggiornato a mercoledì prossimo per capire meglio il da farsi, non escludendo neanche l’ipotesi di un appoggio esterno al governo della città.

Sempre in maggioranza c’è un primo timido tentativo di approccio tra Falcomatà (evidentemente sicuro di tornare a guidare il Comune) e il neo gruppo consiliare dei Democratici e progressisti, che fa riferimento a Nino De Gaetano e all’ex consigliere regionale Antonio Billari.

Al di là delle lamentele rispetto al modus operandi del sindaco, gli esponenti di Dp hanno chiesto un aggiornamento dopo che sarà definita la querelle tra Falcomatà e il Pd. Di certo, in questo frangente, c’è che anche i Democratici e progressisti avanzeranno le loro rivendicazioni per avere una rappresentanza in giunta a Palazzo San Giorgio e tra i delegati alla Città Metropolitana.

Centrodestra nel pantano

Sul fronte delle opposizioni non è che vada meglio. Nel week end appena concluso il centrodestra è riuscito a combinare l’ennesimo patatrac, annunciando dimissioni di massa che di fatto sono state frenate da alcuni esponenti dello stesso centrodestra come Minicuci, Marino e De Biasi. Sulla questione è ferma la posizione di Forza Italia, mentre vacillano Fratelli d’Italia e l’area Lega che hanno dovuto far ricorso ai big nazionali, rimettendo a loro ogni decisione rispetto alle eventuali dimissioni.

Un errore politico strategico quello del centrodestra che si ripete nel tempo se si pensa a quando scoppiò lo scandalo dei brogli elettorali che portò il centrodestra in piazza con un annuncio di dimissioni che poi rientrò in poche ore.

In più, incapace di farsi portatore di una proposta in grado di mettere con le spalle al muro la maggioranza, il centrodestra si è fatto scavalcare a sinistra da Saverio Pazzano, esponente di Dema, che proprio oggi ha annunciato di aver approntato una mozione di sfiducia al sindaco aperta a tutti.

È chiaro che i margini per la riuscita della sfiducia sono risicatissimi. Perché ciò accada servono almeno 17 consiglieri disposti a dimettersi per aprire la crisi. E per fare i conti non serve il pallottoliere: i 10 del centrodestra più Dema (1) e Impegno e identità (1) costituiscono i 12 potenziali dimissionari delle opposizioni, quindi ne servono altri 5 da trovare nella maggioranza.

Alcuni esponenti di centrodestra hanno provato a sondare il terreno del centrosinistra trovando però le porte chiuse ad una siffatta ipotesi.

Partiti cercasi

Un’impasse, o una mancanza di coraggio politico, insomma, che in qualche modo dimostra la debolezza delle ramificazioni locali del sistema partitico, incapace di risolvere una crisi politico amministrativa che rischia di assumere le sembianze della solita spartizione di poltrone.

I consiglieri comunali e i big del partito guardano alla possibile risoluzione positiva della vicenda, probabilmente perché si sentono impreparati al ritorno al voto, per ovvie ragioni. L’orizzonte da guardare, nel caso in cui l’amministrazione andrà a casa, è maggio, e naturalmente il centrosinistra è quello che più di tutti pagherebbe le conseguenze della crisi di Palazzo San Giorgio. E dopo il voto regionale, nel centrodestra, gli unici a fare la voce grossa sono gli azzurri di Forza Italia freschi del titolo di “provincia più azzurra d’Italia”. Ma, si domandano in molti, a maggio che cosa sarà, o cosa sarà diventata Forza Italia?