Dario Franceschini, figura centrale del centrosinistra italiano, è anche uno scrittore. Negli anni, nonostante gli importanti incarichi di governo, ha sempre coltivato la scrittura come una vocazione profonda. Autore di libri premiati da critica e pubblico, ha più volte ribadito di voler essere ricordato prima come scrittore e solo dopo come politico o ministro.

L’ex Ministro della Cultura, il più longevo nell’incarico nella storia repubblicana, presenterà il suo ultimo libro “Aqua e Tera” lunedì alle 18 nel salone degli Specchi della Provincia di Cosenza, intervistato dalla giornalista Annarosa Macrì.

Abbiamo provato a strappargli qualche considerazione sull’attualità politica, dalla vittoria del centrosinistra nella sua Emilia Romagna al dilagare delle destre in Europa, ma ha gentilmente declinato l’invito.

«Un conto è la mia figura politica – ci ha detto –  un altro conto è lo scrittore: sono due cose che voglio tenere separate. Per me scrivere è naturale e necessario, lo faccio ovunque mi capiti, in treno, al bar, nelle sale d’attesa, preferibilmente nella confusione».

Parliamo del libro, allora. Aqua e terra, edito da La Nave di Teseo, è un romanzo storico che, allo stesso tempo, tocca temi di grande attualità. Perché un romanzo ambientato all’inizio del fascismo?

«La mia città, Ferrara, fu all’apice della tensione tra le leghe socialiste e gli squadristi, il centro di un passaggio cruciale per la storia d’Italia. I contadini e gli operai avevano fatto la Prima guerra mondiale per avere la terra. Gliela avevano promessa. Invece, quando finì, non ebbero nulla, se non la fatica di lavori massacranti. E la loro rabbia esplose nelle piazze, nelle fabbriche, ovunque, furiosamente. Questo libro nasce dalla ricerca storiografica che feci per la mia tesi di laurea, pubblicata nel 1985 con il titolo “Il Partito Popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don Minzoni”. Le protagoniste di Aqua e terra vivono storie frutto della mia immaginazione, ma la ricostruzione del contesto sociale di quegli anni è vera. Lo sono gli avvenimenti, i pestaggi, i nomi delle vittime delle squadracce fasciste, gli stralci dei discorsi».

Un romanzo storico costruito su date, nomi e discorsi, con una ricchezza di dettagli che tradisce una conoscenza profonda di quelle vicende, già affrontate in passato. Qualcuno ha definito questo romanzo appartenente al filone del realismo magico. Cosa significa?

«Confesso di aver sempre avuto una passione per il realismo magico sudamericano. È anche una questione generazionale: penso che la vita di un lettore si divida in due momenti, prima e dopo aver letto Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez»

Nel romanzo racconta un amore tra due donne. Come nasce questa storia?

«A destra e a sinistra, l’omosessualità era rifiutata e repressa, ma quella femminile lo era ancora di più. Non si poteva neanche nominare, tanto grande era lo scandalo. Nei testi dell’epoca non ci sono tracce della sua esistenza, a dimostrazione che non c’erano neanche le parole per descriverla. Per questo uso il termine ‘invertite’, l’unica parola in cui mi sono imbattuto durante i miei studi»

Le donne, nel romanzo, sono sempre figure positive…

«Mi sono convinto che le donne siano superiori agli uomini. Hanno una storia di soprusi, camminano su una strada in salita. Ma hanno un’energia, un’intelligenza e una capacità di sentire l’altro che gli uomini non possiedono. Benigni ha da poco ricordato una frase di Groucho Marx: Gli uomini sono donne che non ce l’hanno fatta. Non è ipocrita, da uomo, riconoscerlo»

Un romanzo storico che parla però anche del nostro presente…

«Beh, restando nell’ambito del romanzo, possiamo dire che l’emancipazione femminile ha fatto grandi passi avanti. Un dato è evidente: per la prima volta, l’Italia è governata da una donna e la sua principale oppositrice è, a sua volta, una donna. Solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Tuttavia, c’è ancora molto da fare: viviamo in un mondo in cui, se un uomo e una donna camminano fianco a fianco, l’uomo cammina in pianura mentre la donna affronta una salita. Le disparità, da quelle salariali a quelle legate ai tempi di vita, restano un tema cruciale che deve essere messo al centro dell’agenda. Ci sono ancora tante conquiste da fare»

Vede rischi per la tenuta della nostra democrazia?

«Il mio romanzo presenta fatti storici che dimostrano come il fascismo sia nato violento e non sia diventato pericoloso solo con le leggi razziali. Non stiamo vivendo quella fase, ma ci sono aspetti del passato da cui dobbiamo imparare. La deriva autoritaria va sempre scongiurata»

Si riferisce al premierato?

«Non solo, vedo una forte tendenza all’accentramento dei poteri. Persino il progetto dell’autonomia differenziata, che sulla carta mira a delegare funzioni, rischia in realtà di indebolire molto le amministrazioni locali, soprattutto nel Mezzogiorno, rendendole ancora più dipendenti dal potere centrale. Su questo punto mi sembra ci sia una riflessione critica anche all’interno della maggioranza, che parte proprio dalla Regione Calabria».