Una nuova rivoluzione culturale in atto. Ecco perché i calabresi amano Gratteri

Il procuratore di Catanzaro scardina i luoghi comuni, rendendosi protagonista di un radicale mutamento delle coscienze che ci riabilita davanti a noi stessi ed al resto del mondo. Non siamo più omertosi e non dobbiamo più vergognarci di chi siamo e da dove veniamo

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di Pietro Comito
30 gennaio 2019
16:51
Nicola Gratteri
Nicola Gratteri

Eravamo abituati diversamente. Eravamo abituati a conferenze stampa nelle quali i magistrati requirenti evidenziavano l’omertà dei calabresi, complici (con il silenzio) dei loro carnefici, calabresi complici e codardi. Ed ogni operazione, ogni arresto, così, acquisiva maggiore valore: avete visto come siamo stati bravi? Non ci ha aiutato nessuno, li abbiamo arrestati nonostante i calabresi ingrati abbiano detto di non aver visto o sentito niente…
E poco importa se poi quelle indagini erano destinate a sgretolarsi alla prova del dibattimento.


Nicola Gratteri ha cambiato tutto questo. Gratteri ribalta tutto: «Se la gente non parla è perché evidentemente non siamo credibili, se parla è perché ci ritiene credibili». Così, oggi, deve dedicare un giorno intero della sua settimana per ricevere le persone che vogliono denunciare. Cinque minuti ciascuno per andare al dunque, altrimenti ventiquattr’ore non basterebbero. A decine, centinaia, alla sua porta. Altro che omertà e codardia…
«Continuate ad inondarci con esposti e denunce…». E ancora: «I calabresi non sono omertosi». E sarà anche vero che «c’è uno ’ndranghetista in ognuno di noi», ma egli riconosce che se finora il male ha avuto il sopravvento evidentemente è anche, e soprattutto, colpa di uno Stato incapace di offrire un punto di riferimento sicuro, forte, credibile appunto.
Alcuni si chiedono come è possibile che un magistrato sia così amato. Nicola Gratteri è così popolare perché è un uomo del popolo. I calabresi lo amano perché egli ama i calabresi. Perché ha quell’aspetto ruvido e verace, perché è viscerale, perché non ama latinismi e sofismi. Senz’attendere l’epocale retata che irrompa in santuari mafio-massonici inviolati e che getti in gattabuia altre decine di manigoldi i quali hanno profanato i templi istituzionali, egli è stato già protagonista di una rivoluzione culturale che riabilita i calabresi intanto davanti a stessi quanto davanti al resto del mondo.



Eravamo abituati diversamente. Molto diversamente. Eravamo abituati ad una Procura che piangeva miseria. Che non aveva carta, né toner. Una Procura alla quale un giorno, un sindaco del Cosentino, mandò perfino un furgone carico di risme A4 come gesto caritatevole di compartecipazione alla missione legalitaria. Eravamo abituati a vedere un pm solo ed isolato, seppellito dalle indagini di province ad altissima densità mafiosa, come Crotone o Vibo, sgobbare come un ciuco. Lui e nessun altro, perché nessuno qui voleva venire. Oggi in territori come Vibo Valentia arriviamo a quattro pubblici ministeri, più l’aggiunto e il procuratore capo. Oggi l’ambizione di un giovane pubblico ministero è quella di lavorare sulla ‘ndrangheta e di farlo al fianco di Gratteri, a Catanzaro.


Certo, la personificazione (più che la personalizzazione) è pericolosa. Si rischia di sovraesporre l’uomo che finisce col rappresentare l’istituzione. E quando si tratta di crimine organizzato bisogna stare attenti. Ma la gente ha bisogno di simboli in cui credere, di uomini di cui fidarsi, di istituzioni credibili appunto. Gratteri non è il messia, è semplicemente l’uomo che ti dà speranza. Gratteri è quello che ti racconta di aver arrestato uno ‘ndranghetista con cui da ragazzino giocava insieme al pallone, uno col quale, prima dell’interrogatorio, rivangava tra un sorriso e l’altro i ricordi d’infanzia, consapevoli entrambi che uno sarebbe finito in carcere e l’altro avrebbe fatto tutto quello che la legge gli consentiva di fare per tenerlo in cella il più a lungo possibile.


Gratteri ti ricorda che non devi vergognarti se da bambino o da adolescente hai avuto un criminale come compagno di giochi, di banco o di scuola, l’importante è che arrivato ad un certo punto della tua vita abbia deciso di stare dalla parte giusta, senza infingimenti.


Oggi il Consiglio superiore della magistratura archivia un procedimento per incompatibilità ambientale che ha interessato oltre che il procuratore capo, il procuratore generale Otello Lupacchini. La pubblicazione sul Fatto quotidiano di quei verbali secretati ha destato più di una perplessità. Era un fascicolo destinato, appunto, ad essere archiviato dopo poche ore, ma quelle notizie divulgate a mezzo stampa hanno svelato la reale dimensione di un conflitto al vertice degli uffici giudiziari calabresi del quale solo i non addetti ai lavori potevano non accorgersi.

Lupacchini è un grande magistrato, un pezzo di storia della giustizia italiana, un’enciclopedia vivente sulla Banda della Magliana e sul terrorismo rosso. E’ stato però anche un ispettore di via Arenula, che anni addietro era stato inviato ad “indagare” proprio sui rapporti tra i magistrati della Procura di Catanzaro. Espresse, a suo tempo, giudizi trancianti su alcuni, riconoscendo le ragioni di altri. Con diversi tra quegli stessi magistrati requirenti oggi si ritrova ad avere a che fare in veste di procuratore generale. E’ un fatto questo importante da considerare: ognuno tragga le sue conclusioni.


Dal suo insediamento, lo si è visto anche prendere parte ad alcune conferenze stampa convocate dalle Procure interessate per illustrare gli esiti di attività di polizia giudiziaria. E’ stato un fatto inusuale. L’ha sottolineato Gratteri, davanti al Csm, ma ce ne siamo subito accorti tutti. Perché partecipare alle conferenze stampa del procuratore capo di Castrovillari o di Paola e non a quelle delle Procure di Vibo, di Crotone o di Lamezia Terme che pure di cose parecchio importanti ne hanno fatte? L’impressione è che abbia tracciato un solco sul terreno, che – come più o meno ha detto Gratteri al Csm – abbia inteso lanciare un messaggio.


Lupacchini, poi, ha evidenziato, relazionando all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il dato secondo cui Catanzaro è la realtà giudiziaria italiana con i più alti risarcimenti per ingiusta detenzione dopo Roma. Ha bacchettato i requirenti che fanno ricorso troppo facilmente alle manette e i giudici che le accordano mostrandosi subalterni all’ufficio di Procura. Ai più è apparso, anche qui, un attacco mirato a Gratteri e al suo ufficio. Il presidente della Corte d’Appello Domenico Introcaso ha poi opportunamente chiarito i termini: il record di liquidazioni per ingiusta detenzione si riferisce al periodo compreso tra il 2010 e il 2015 (magari, quando i tempi saranno maturi, si ragionerà su cosa sia successo a Catanzaro in quegli anni) e non c’era certo Gratteri all’epoca, alla guida della Procura, essendosi insediato solo nel 2016.


A conti fatti, però, anche questo dato, letto correttamente, ci restituisce la dimensione completa della rivoluzione segnata da Gratteri, che è culturale, sociale, ma è anche investigativa e giudiziaria. In alcune aree della Calabria si era lavorato bene anche prima del suo avvento, sarebbe ingiusto oltre che sbagliato non evidenziarlo. Ma l’incisività dell’azione della Procura di Catanzaro non è mai stata percepita in tutta la sua forza dirompente come invece avviene oggi.
Ecco, a Catanzaro, oggi, più che una Procura c’è una speranza. Speranza che le cose possano cambiare, che non siano sempre i cattivi ad averla vinta. Speranza che qualcuno ti ascolti senza pregiudizi e possa darti ragione delle ingiustizie subite. Speranza che la Calabria possa diventare una regione uguale alle altre.


Oggi si riscopre una terra fatta di uomini e donne per la stragrande maggioranza perbene, arrabbiati sì, ma che hanno coraggio, che non sono omertosi, che rispettano le istituzioni laddove riconoscono la credibilità di coloro che le rappresentano. E’ già un passo avanti. Un grande passo in avanti.

Giornalista
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