Di recente, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha così commentato una sentenza della Cassazione: «Non avvicina i cittadini alle Istituzioni». Ci siamo chiesti: è questa l’idea che si ha della democrazia, con buona pace di Montesquieu e della divisione dei poteri? Ma se non è più democrazia, che cosa è?

La storia è maestra di vita, si sa. Tuttavia, si resta ugualmente meravigliati ogni volta che la lettura di un autore classico ci illumina sul presente. Prendiamo, ad esempio, ciò che scrive lo storico Polibio, vissuto tra il 200 e il 120 a. C.: “Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza, essi stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli, questi ultimi non tengono più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola. Soprattutto i più ricchi, desiderosi di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, utilizzano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta oclocrazia”.

Il termine oclocrazia, che oggi viene tradotto con la parola demagogia, letteralmente significa il potere delle masse, le quali costituiscono la base dell’oclocrazia come il popolo lo è della democrazia. Tale concetto viene ripreso anche da Cicerone, testimone oculare della fine della Repubblica romana, insieme alla Teoria dell’anaciclosi, ovvero l’alternarsi ciclico di tutte le forme di governo. Partendo, quindi da Polibio, Cicerone afferma che gli ordinamenti politici sono imperfetti e destinati a degenerare. La monarchia diviene tirannide, l’aristocrazia oligarchia, la democrazia oclocrazia. Qualora Polibio e Cicerone avessero ragione, non staremmo, quindi, assistendo a nulla di anomalo, in questa fase delicata e difficile di vicende storiche che non riguardano solo la nostra Nazione.

Inoltre, i vari demagoghi al potere non sarebbero accidenti della storia, bensì l’inevitabile conseguenza del suo continuo ritornare sui suoi passi, della sua perenne ciclicità, aggravata però, e resa più pericolosa, dalla possibilità di utilizzare strumenti comunicativi di massa, mai prima sperimentati. Secondo Cicerone, solo un ceto politico colto, preparato tecnicamente, che conosca l’arte dell’oratoria, perché mosso da passione civile e morale e non per ingannare le masse, potrebbe opporsi a tale processo di decadenza. 

Tre sono le parole - chiave in grado di innescare un circuito virtuoso e invertire la rotta: pedagogia, cittadinanza e diritto. Se volessimo calare questi fattori, nella realtà contemporanea, si potrebbero tradurre nell’importanza di un’istruzione che non consideri merito e inclusione antitetici e non miri, semplicisticamente, a un abbassamento degli standard per tutti; di una partecipazione che non sia confusa con il finto attivismo da social network, tra disinformazione, deresponsabilizzazione favorita dall’anonimato e l’illusione che un’opinione possa essere semplificata in un like, senza la necessità di argomentare; infine, nella certezza che i diritti non debbano essere sottoposti al vaglio delle masse per essere riconosciuti. Utopia? Forse. Ma solo un’utopia, talvolta, è riuscita a cambiare il corso della storia.