C’era una volta l’università della fatica. Quella delle levatacce, delle aule fredde, dei professori arcigni. Quella dove si sgobbava, si sbagliava, si tornava indietro e si ricominciava da capo. Oggi invece scopriamo che bastano un cognome giusto, una firma ben piazzata nel consiglio d’amministrazione e una buona dose di disinvoltura. E così, anche una ministra può laurearsi nei weekend, come se l’università fosse un supermercato aperto H24. Offerte speciali: due esami al prezzo di uno. Solo la domenica!
Nel giorno di chiusura.
Non sono indignato. Sono stanco. Stanco di dover fingere stupore quando l’Italia fa esattamente ciò che le riesce meglio: premiare la parentela al posto del merito, l’abitudine al posto della passione, la scorciatoia al posto della salita. Eppure, nel caso Calderone, c’è qualcosa di straordinario: la precisione da orologio svizzero con cui gli esami piovono nel libretto. Il primo del mese. Il quindici. Ogni data un piccolo miracolo. Ogni weekend una Pasqua accademica.
Ma che male c’è, ci dicono? La ministra era una studentessa lavoratrice. Un’eroina del multitasking. Rappresenta milioni di italiani che si spezzano la schiena e studiano nei ritagli di tempo. Peccato che i milioni di italiani in questione non abbiano mariti nei consigli d’amministrazione e nemmeno sconti da outlet universitario. Pagano tutto, fino all’ultimo euro. Anche l’umiliazione.
Ma qui, si sa, l’apparenza è tutto. Il titolo fa curriculum, e il curriculum fa poltrona. Non importa se dentro il titolo ci sia studio o solo una timbratura retroattiva. Non importa se un figlio di operai impiega dieci anni per prendersi una laurea vera mentre qualcun altro la ritira tra una conferenza stampa e una fiera dell’artigianato. L’importante è poter dire: ho studiato anche io. Poco importa se il verbo “studiare” qui è sinonimo di “farsi firmare un paio di moduli”.
E poi c’è il dettaglio sublime: le rate non pagate. 5.100 euro ancora lì, che aspettano. Come se la ministra avesse fatto un bonifico e poi si fosse distratta. Ma forse, chissà, all’università Link c’è la formula “prima studi, poi decidi se valeva la pena pagare”.
Ovviamente non siamo ingenui. Non crediamo certo che questa notizia arrivi solo adesso per puro caso. Chi conosce un minimo i meccanismi della politica sa bene come funzionano le cose: esistono dossier tenuti in caldo, pronti a essere sganciati con tempismo chirurgico. È la vecchia, collaudata strategia della diffusione ad orologeria. Si tira fuori un fatto — più o meno rilevante — quando serve colpire un rivale, ridisegnare gli equilibri, dare voce ai mal di pancia di qualcuno o, magari, spianare la strada a un bel rimpasto di governo.
Ma questa è un altra storia.
Ora torniamo noi.
Quello della Ministra Calderone e della sua laurea è tutt'altro che un caso isolato: è un copione che si ripete, ogni volta uguale, ogni volta più sfacciato.
La verità? Non ci scandalizza più niente. Siamo un popolo che ha trasformato lo scandalo in un genere narrativo: ci piace leggerlo, indignarci un attimo, e poi voltare pagina. Intanto i figli del popolo continuano a sostenere esami il lunedì mattina alle otto, dopo aver lavorato tutta la notte. Ma quelli non fanno notizia. Non siedono al governo.
E allora forse ha ragione lei, la ministra. Questa laurea non l’ha presa in fretta e furia. No, è stata una laurea perfetta, studiata a tavolino, servita calda nei giorni dispari. Una laurea da manuale.
Manuale Cencelli, naturalmente.