Oggi l’Italia si scandalizza. Si fanno titoli indignati, ma con la bocca ancora impastata di ipocrisia. È solo una pausa prima che nuovi locali, nuovi nomi, nuove facce riempiano il vuoto lasciato dai vecchi
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C’è qualcosa che mi stupisce più della corruzione, più della decadenza: è lo stupore per la corruzione, la sorpresa davanti alla decadenza. Come se Milano, oggi, si scoprisse improvvisamente diversa da quello che è sempre stata. Come se la sua febbre fosse scoppiata all’improvviso, e non fosse invece il lento, inesorabile sfacelo di un corpo che si crede immortale.
La Gintoneria di Davide Lacerenza non era un segreto. Era una dichiarazione urlata a piena voce da chi sapeva di poter vivere sopra la legge, sopra la morale, sopra il giudizio.
Milano sapeva.
Milano applaudiva.
Milano beveva bottiglie costose e gin tonic con il logo inciso nel ghiaccio mentre sotto il bancone scivolavano bustine di cocaina e le escort si disponevano come portate di un menù esclusivo.
Oggi l'Italia intera e Milano si scandalizzano. Si fanno titoli indignati, ma con la bocca ancora impastata della sua stessa ipocrisia. Perché Milano è sempre stata così: capitale morale di giorno, capitale della doppia morale di notte.
C'è una linea invisibile che collega tutti gli aerei e i treni che arrivano in città il venerdì sera. Un esercito uomini e donne, di ragazzi e ragazze si riversa a Milano come pellegrini in un tempio pagano.
Alcuni sono giovani rampolli delle famiglie bene, altri imprenditori, avvocati, politici locali. Alcuni più semplicemente sono i piccoli re delle province italiane, uomini di potere nei loro mondi ristretti, desiderosi di assaporare il brivido della vera capitale del vizio. Vengono con la scusa di incontri di lavoro, di fiere, di appuntamenti strategici. Parlano di business, di crescita, di opportunità. Ma il vero obiettivo è un altro: le serate, i club, le sbocciate e le sciabolate, il sesso, le orge, la cocaina, e i bagni dei locali dove si chiudono due alla volta e ne escono con gli occhi lucidi e le pupille dilate.
È la liturgia del fine settimana, il rito della polvere bianca e dell’esibizione. Se non sei a Milano, non esisti. Se non entri in questo gioco, sei fuori.
E poi ci sono le ragazze. Arrivano con le valigie leggere e le speranze pesanti. Milano per alcune rappresenta l'ultima occasione, l'ultimo bivio prima di diventare invisibili; per altre invece rappresenta la prima tappa.
Sognano la moda, la televisione, il successo su Instagram. Ma Milano non è un trampolino: è una spirale. La prima cena in un ristorante di lusso, il primo invito nel privé di un locale esclusivo. La prima volta che qualcuno dice: «Vieni con noi, dai, solo una riga, tanto qui lo fanno tutti». La prima volta che si svegliano in un attico che non è il loro, con dei soldi in più nelle loro borsette, con un contratto di lavoro che non arriva, con un sogno che si sgretola tra le dita.
Milano non ha mai fatto sconti a nessuno. Chi arriva senza un nome deve offrire qualcosa in cambio. Il corpo, la bellezza, la disponibilità. Le ragazze che ce la fanno non esistono. Esistono solo quelle che resistono più a lungo.
Questa è la città che si proclama e che tutta l'Italia inchinata riconosce come "capitale morale", ma che in realtà nasconde la sua corruzione dietro la facciata di un marketing urbano asettico, patinato, un set fotografico dove l’immagine conta più della sostanza. Una Milano che si scandalizza per le baby gang, ma che poi lascia che le sue élite trattino gli spacciatori come fattorini di lusso, come riders del piacere e della polvere bianca.
La cocaina è il carburante della città. È nella Borsa, nei fondi di investimento, nei locali esclusivi, nelle stanze delle istituzioni. È il collante tra il potere e la strada. Eppure, mentre gli stessi moralisti che oggi si stracciano le vesti si indignano per una canna fumata in piazza, nessuno si chiede perché la coca scorra ovunque, perché il suo consumo sia ormai normalizzato. A Milano la droga non è più trasgressione: è routine.
Ma il problema non è solo la droga. Il problema è che Milano non è più in grado di distinguere tra il bene e il male. Qui la morale è un accessorio, un gadget che si indossa di giorno e si toglie di notte.
Da mesi, da anni, Milano non è più padrona di sé stessa.
Le baby gang, i maranza, gli scippi, le rapine, le aggressioni, il degrado della stazione Centrale e delle periferie. Poi è arrivata la Gintoneria, con i suoi giri di droga e la prostituzione. Ma questo è solo il palcoscenico visibile di una città che ha perso il controllo.
C’è il caso dossieraggi, con l’improvvisa morte di Carmine Gallo, ex super poliziotto che raccoglieva materiali segreti su imprenditori e politici, spiava, hackerava, ricattava.
C’è il caso ultras e le curve di Inter e Milan, la ‘ndrangheta che si siede a tavola con la Milano bene, la gestione dei parcheggi che diventa il campo di battaglia tra il crimine organizzato e le istituzioni, che trattano, negoziano, chiudono un occhio e spesso anche tutti e due.
C’è il caso Salva Milano, c'è il teatrino della corruzione politica con assessori che si dimettono, funzionari che cadono, ma che alla fine non cambia nulla: solo nuovi volti, nuovi equilibri, nuovi ladri.
E infine c’è Articolo 52, il gruppo che invoca la legittima difesa, che ha preso il diritto nelle proprie mani, che pattuglia la città con ronde nere, con il beneplacito delle forze dell’ordine. Sono mesi che questi vigilanti si muovono per le strade, colpiscono le baby gang, spingono Milano verso una deriva squadrista, criminale, politica e ideologica.
Milano è diventata una città di guerra. Una guerra silenziosa, fatta di scontri nei locali, di risse fuori dai club, di spaccio, prostituzione e di faide interne al potere.
Ora la città – e l’Italia intera – si indigna. Si veste a lutto. Si dichiara tradita da se stessa. Ma è solo una pausa, un respiro prima di ricominciare. Prima che nuovi locali, nuovi nomi, nuove facce riempiano il vuoto lasciato dai vecchi.
Ecco il copione: una nuova generazione salirà su quei treni e su quegli aerei del venerdì sera, una nuova ragazza entrerà in un club pensando di essere speciale, un nuovo rampollo della provincia stapperà una bottiglia da mille euro credendo di avere il mondo ai suoi piedi. E sotto, nel sottosuolo invisibile della città, tutto continuerà a muoversi come sempre.
Perché Milano non esiste. È solo il riflesso della nostra ipocrisia, della nostra fame di potere, della nostra paura di restare indietro.
Perché Milano è così: si scandalizza per qualche giorno, poi si trucca di nuovo e torna in scena. È sempre stato così. E continuerà ad esserlo. Perché qui il vizio non è un’ombra, è la struttura stessa del potere.
Se davvero Milano volesse cambiare, dovrebbe strappare via la sua maschera. Ma ne ha troppa paura. Perché sa che, sotto, non c’è più nulla.