La storia deludendo ogni speranza di modernizzazione o di progresso si è espressa negativamente
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Il 3 agosto scorso, nello Chalet del bosco di Villaggio Mancuso, è stata inaugurata una bella mostra intitolata Vittorio De Seta. Lettere dal Sud che raccoglieva una ventina di pannelli di 200 cm per 50 sull'idea di Meridione e sul modo di fare cinema di un grande maestro della settima arte, uno degli ultimi. A cento anni dalla nascita del regista, la Cineteca della Calabria, che a De Seta già nel 2021 aveva dedicato una collezione di lettere inedite, diari, articoli, conversazioni e testimonianze, ha deciso di celebrare la personalità e il patrimonio filmico del padre del cinema documentario italiano, scomparso nel 2011.
Nella maturazione artistica di De Seta ha un peso indubbio il suo incontro, raccontato anche in una lettera alla moglie Vera Gherarducci, con gli etnomusicologi Alan Lomax e Diego Carpitella che gli consente di intuire in anticipo e attraverso un punto di osservazione particolare la trasformazione della civiltà contadina meridionale. La fine di quella che Pasolini, rifacendosi alla nota espressione del giornalista e partigiano Felice Chilanti, aveva definito età del pane è documentata esemplarmente nei bellissimi cortometraggi autoprodotti e girati tra Sicilia, Sardegna e Calabria tra il 1954 e il '59.
Ricerca e sensibilità sono ancora una volta le parole chiave che scaturiscono dallo studio di un metodo di lavoro che, sin dagli esordi, fa del cinema un mezzo privilegiato per comprendere la realtà e la direzione che potrebbe prendere. Focalizzando la propria attenzione sulla modulazione sonora, e dunque artigianale, della giornata di lavoro, ossia sulle storie degli uomini vivi nelle cose, De Seta riesce a individuare e a mostrare il controcanto, interiore ma mai sentimentale o meramente estetico, di un rapporto con i luoghi sentito, ancora negli anni Cinquanta, come rigido e, tuttavia, concreto.
Era possibile programmare una crescita economica e sociale che non dovesse necessariamente rinunciare a questa sfera intima della nostra civiltà? La domanda non può non avere una risposta positiva. La storia invece, deludendo ogni speranza di modernizzazione o di progresso, ha risposto negativamente. De Seta, pur non avendo alcuna intenzione di mettere in risalto la disposizione acritica del popolo a considerare la propria esistenza determinata da un ordinamento esterno, talvolta soprannaturale, ha segnalato più volte la necessità che quel popolo acquisisca maggiore consapevolezza riguardo alla sua stessa capacità di produrre intimamente e autonomamente cultura, svincolandosi da passività, senso comune e paternalismo religioso.