Non servivano certo studi e statistiche per capire che i salari da fame in Italia rappresentino una vergogna nazionale, vergogna a cui la classe politica non ha mai voluto mettere mano. Le giustificazioni sono sempre le solite: l’idea che si diffonde è, infatti, quella secondo la quale non ci siano i soldi, o che non ci siano le condizioni per aumentare gli stipendi; tutte balle. 

Mai come in questi ultimi anni è stata prodotta tanta ricchezza, il problema è che questa ricchezza viene volutamente sottratta ai cittadini. Veniamo adesso ai numeri: secondo le statistiche, in sedici anni le retribuzioni italiane hanno perso l’8,7% del loro potere d’acquisto, anche se la perdita d’acquisto reale è molto, molto più elevata. Questo numero, rappresenta il dato più sconfortante tra le economie avanzate, sempre secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro. 

Naturalmente, quando si parla di guerra verso il ceto medio, peggio dell’Italia non ha fatto nessuno. Giappone, Spagna, Regno Unito: tutti sono stati colpiti, ma meno duramente, per via di politiche sociali e redistributive più avanzate di quelle italiane. Dal lato opposto la Germania ha guadagnato uno spaventoso +15%, sempre considerando le variazioni avvenute nello stesso periodo.

Ma come mai, in una economia interconnessa come quella europea, in Italia i salari vanno giù ed in Germania vanno su? I motivi sono tanti, ma una spiegazione fondamentale è data dal fatto che L’Unione Europea ha adottato una strategia economica basata sul mantenimento di esportazioni elevate e salari compressi, alimentando un modello di crescita che ha favorito la competitività esterna a scapito della domanda interna. Spiegato in termini più terra terra: sono stati favoriti i grandi gruppi aziendali, che hanno usato i salari bassi come arma di competitività, a scapito del ceto medio che si è impoverito. Questa decisione politica, nota come “mercantilismo tedesco”, ha avuto un impatto devastante su paesi come l’Italia, che hanno visto il potere d’acquisto dei salari erodersi progressivamente.

Il tutto è avvenuto nella totale indifferenza della nostra classe politica, sempre succube delle decisioni europee, decisioni sempre giustificate dalla momentanea bugia emergenziale, nel caso specifico dal debito pubblico o dallo spread. Fantasmi utilizzati ad orologeria, infatti sono entrambi spariti, sia durante l’emergenza pandemica, che durante l’emergenza bellica. Anzi adesso si è scoperto che a debito, per fare la guerra, si può spendere benissimo, con buona pace dello spread.

Naturalmente tutto poteva essere evitato, ed attraverso politiche diverse, si sarebbe potuto alleviare questo massacro sociale. Ma gli esponenti politici italiani si sono disinteressati di questi problemi, ignorando completamente i danni che ha fatto il capitalismo contemporaneo ad almeno due generazioni. Inoltre, sempre la classe politica, divisa sulla giustizia sociale, ma sempre coesa sul “Monti” del momento, ha lasciato che le risorse italiane venissero veicolate male, alimentando disuguaglianze strutturali invece di correggerle. 

Nel nome del dogma della stabilità finanziaria e la priorità data all’export, ricordate “celochiedeleuropa dobbiamo farlo”, è stato sacrificato il benessere delle famiglie italiane. L’idea che il mercato si autoregolasse a favore di una redistribuzione equa si è rivelata un’illusione: mentre le imprese tedesche beneficiavano di un euro debole e di un mercato del lavoro iper-flessibile, i salari italiani sono rimasti intrappolati in una spirale discendente.

Sul piano strettamente produttivo, il meccanismo che si è innescato si è rivelato perverso: l’aumento della produttività in Italia, anziché tradursi in salari più alti, è stato assorbito dalle imprese o bloccato da contratti collettivi che, per proteggere gli interessi dei soliti noti, non sono mai riusciti a stare al passo con l’inflazione. Il risultato è una classe lavoratrice sempre più impoverita, costretta a sopportare il peso di un sistema che premia l’accumulazione di capitale a discapito della giustizia sociale. 

Nel Sud questo problema è ancora più devastante: infatti sono le famiglie di origine, madri e padri delle generazioni nate tra gli anni 70 e gli anni 90, che si fanno carico di molte delle spese delle famiglie dei propri figli. Ma i genitori non sono eterni, e la polvere messa sotto il tappeto verrà a galla, rivelando il volto spettrale di tre generazioni che non riusciranno a vivere dignitosamente.