La fragilità dei terreni calabresi, l’abbandono delle aree montane nonché le costruzioni abusive. Il cambiamento climatico e i fenomeni estremi spingono ad un’analisi sulle conseguenze nella nostra terra. Il contributo del geologo Tansi
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Il cambiamento climatico ha colpito ancora surriscaldando un mare diventato oramai una sorta di “polveriera”! L’enorme ciclone formatosi nell’Oceano Atlantico a causa del forte riscaldamento del mare su cui arrivano le correnti fredde che vengono da Nord, ha determinato la formazione di mastodontici cumulonembi - in gergo popolare “bombe d’acqua” - che sono tanto più grandi e distruttivi quanto maggiore è il contrasto di temperatura tra il mare e le masse d’aria fredda.
Il cosiddetto Dana non è altro che l’ennesimo ciclone formatosi con questi processi. Solo che questa volta il contrasto di temperatura mare-correnti fredde era particolarmente elevato a causa di un mare ancora molto caldo, e si è formato così un ciclone di vastissime dimensioni che ha determinato i disastri che hanno devastato un ampio territorio della Spagna, mietendo centinaia di morti. Certamente fenomeni del genere saranno sempre più frequenti, non solo in Spagna, ma anche in Italia e in Calabria. Solo che in Calabria precipitazioni simili del genere provocheranno danni molto più ingenti e un numero di vittime molto maggiore. Qui esistono motivi ben precisi che determinano situazioni di grave rischio per la pubblica e privata incolumità, con numeri e costi impressionanti determinati da una gestione approssimativa del rischio idrogeologico, con responsabilità ben precise che, se ricondotte responsabilmente ai soggetti preposti, possono ridurre in modo risolutivo il dissesto idrogeologico. Ma vediamo in che modo.
Il rischio idrogeologico in Calabria: le cause
Le cause sono dovute alla “fragilità” geologica dei terreni che affiorano in Calabria su cui si riversano precipitazioni sempre più simili a cicloni tropicali, con celle temporalesche intense, localizzate e imprevedibili che scaricano enormi quantitativi di acqua sui numerosi piccoli bacini idrografici tipici del territorio calabrese, determinando una rapida saturazione degli stessi bacini e l’innesco di diffusi fenomeni franosi e alluvionali.
Altra concausa è lo spopolamento dei centri montani che non garantisce più la manutenzione del territorio un tempo assicurata da pratiche agricole di salvaguardia con la regimazione delle acque piovane, la costruzione di fossi di scolo e di muri a secco che - nel pieno rispetto della natura dei luoghi - garantivano stabilità e durevolezza degli interventi.
Il rischio idrogeologico è esponenzialmente aggravato da un’arrembante e incauta edificazione che, sia per l’abusivismo (34.200 erano le case abusive costruite in Calabria nel solo periodo 1994-2002; stime CRESME) che per il superficiale controllo dei progetti negli uffici preposti, ha consentito di costruire sulle frane e nei fiumi. Frane e inondazioni sono fenomeni naturali che contribuiscono a scolpire lo splendido paesaggio calabrese che noi conosciamo. Il problema si pone quando questi fenomeni interferiscono con le attività umane (persone, edifici, infrastrutture). Sono molte migliaia gli edifici costruiti in zone a rischio frana e alluvione, definite dalla normativa R3 ed R4 (che significa zone a rischio elevato e molto elevato dove sono possibili perdite di vite umane). I tanti calabresi che quotidianamente vivono in queste aree si illudono di aver aggirato le leggi degli uomini, strappando magari una concessione con la corruzione di qualche funzionario pubblico, ma non possono sottrarsi alle inesorabili leggi della Natura che, prima o poi, si riprenderà ciò che le appartiene, senza fare sconti a nessuno, provocando disastri e morti. Chi costruisce o compra una casa su queste zone, deve essere consapevole che, oltre a mettere a rischio la sua vita e quella dei suoi familiari, va ad investire centinaia di migliaia di euro, magari risparmi di tutta una vita, su un’area dove quasi certamente può perdere tutto ciò che ha investito.
Il rischio idrogeologico in Calabria: i numeri
In Calabria il 100% dei comuni ricade in aree ad elevato rischio idrogeologico. In particolare, l’88.0% dei comuni presenta almeno una zona minacciata da frane o da alluvioni con rischio R3 (elevato) o R4 (molto elevato), cioè con rischio di perdita di vite umane (fonte: PAI - Autorità di Bacino – Regione Calabria, 2001). 157.225 sono i calabresi residenti in aree ad elevato rischio idrogeologico, mentre 56.029 sono gli edifici che vi ricadono. 245 sono gli edifici scolastici e 15 gli edifici ospedalieri calabresi che ricadono in aree ad elevato rischio idrogeologico. I dati suindicati sono molto sottovalutati poiché risalgono al 2001 e non tengono conto delle calamità degli ultimi anni.
Il rischio idrogeologico in Calabria: i costi
Lo studio-dossier “Il dissesto idrogeologico in Calabria”, pubblicato negli anni ‘90 dal CNR, valutava in 2,5 miliardi di euro (rivalutazione ISTAT), il fabbisogno mettere in sicurezza le aree a rischio idrogeologico. La cifra evidenziava - già all’epoca - il degrado fisico della regione e la necessità di destinare grandi risorse per affrontare in modo organico un gravoso problema che rappresentava un grande ostacolo per lo sviluppo. Attualmente per il territorio regionale sono ragionevolmente stimabili in circa 3 miliardi di euro i costi per la messa in sicurezza delle aree danneggiate dal maltempo negli ultimi decenni. I fondi statali finora spesi tra tutte le difficoltà legate alla burocrazia, non coprono neanche il 10% del fabbisogno per riparare i danni accumulatisi negli ultimi decenni e sono una goccia in un oceano per risolvere i problemi atavici della Calabria in materia di dissesto idrogeologico.
Il rischio idrogeologico in Calabria: la gestione
Dagli anni ‘90 ad oggi, il rischio idrogeologico in Calabria non è stato mai fronteggiato in modo complessivo ed organico, bensì in condizioni di perenne emergenza, connessa a finanziamenti occasionali elargiti dal governo centrale a seguito dei vari noti eventi alluvionali: Crotone (1996), Soverato (2001), Vibo Valentia (2002), Borgia (2004), Cavallerizzo (2005), Vibo Valentia (2006), gli eventi alluvionali degli inverni 2008-2009 e 2009-2010 che hanno colpito l’intera regione, Corigliano Rossano (2015), Locride (2015), Raganello (2018), Calabria Centrale (2018), Fiume Crati (2018), Lametino (2023), giusto per citare i più importanti.
In passato, in occasione delle alluvioni, ha prevalso la logica di una distribuzione dei fondi condizionata da perverse logiche “elettoralistiche”, piuttosto che la volontà di mettere realmente in sicurezza i territori, che ha portato comuni ad altissimo rischio ad essere esclusi dai piani dei finanziamenti. L’unico elemento di novità nella mitigazione del rischio idrogeologico - dal 1990 ad oggi - è il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) elaborato dalla Regione Calabria, entrato in vigore nel 2001, che delimita le aree a rischio da frana, da alluvione e da erosione costiera su cui l’edificabilità è interdetta o limitata, che ha circoscritto le sue analisi ai soli centri abitati e agli agglomerati urbani (con più di 200 abitanti). Duole constatare come siano state completamente disattese le norme tecniche del PAI, che prevedevano l’aggiornamento delle aree a rischio con cadenza quinquennale, l’attuazione di interventi di difesa del suolo con cadenza triennale e l’analisi delle aree a rischio all’intero territorio regionale.
Le recenti alluvioni hanno aggravato ancora di più il desolante quadro delineato dal CNR, ampliando a dismisura le aree di rischio, amplificando le situazioni di criticità e rendendo indispensabile una riperimetrazione dei limiti delle aree di rischio PAI. Il motivo risiede nella scarsa incisività degli interventi attuati, per la mancanza di un’azione preventiva - organica e programmatica - di difesa del suolo che risultano tanto più efficaci e meno onerosi quanto più sono tempestivi: gli interventi sono stati mirati esclusivamente ad azioni di somma urgenza circoscritti a fenomeni contingenti, senza procedere alla sistemazione globale di frane e corsi d’acqua.
Il peso del dissesto idrogeologico della regione ricade quasi interamente sui sindaci, che per la loro vicinanza alla popolazione sono i principali tutori della protezione idrogeologica. Sindaci da anni stremati dagli allerta-meteo e dai successivi interminabili temporali che hanno portato allo sgombero di numerose abitazioni e all’interruzione di svariati tratti di arterie vitali per le comunità. Angosce acuite dal timore che ulteriori piogge possano infliggere il definitivo colpo di grazia ai numerosi versanti, al limite del collasso, destando serie preoccupazioni per l’incolumità di vite umane.
Il rischio idrogeologico in Calabria: le responsabilità e le soluzioni
Per ridurre in modo risolutivo il rischio idrogeologico è indispensabile riportare alle proprie responsabilità ogni attore preposto alla gestione dei rischi naturali.
Le responsabilità dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale
L’inglobamento dell’Autorità di Bacino regionale nell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale ha determinato un gravissimo problema funzionale, in quanto attualmente non esiste un ufficio dell’Autorità in Calabria e tutte le pratiche relative alla regione gravano su un solo funzionario calabrese.
Inoltre, la L.R n.34/1996, che istituisce l’Autorità di Bacino della Regione Calabria (ABR), successivamente incorporata nell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale, dimostra l’efficacia di una visione complessiva a scala regionale - e non parcellizzata – nella programmazione degli interventi di tutela del suolo. Purtroppo, però, il mancato adeguamento del PAI da parte dell’Autorità di Bacino che - secondo la normativa - prevedeva l’analisi del rischio a tutto il territorio regionale (e non ai soli centri abitati), ha procurato un’insostenibile fase di stallo nella programmazione degli interventi di difesa del suolo. Tali inadempienze sono state determinate dal progressivo svilimento dell’Autorità di Bacino che, a circa 23 anni dalla sua istituzione, è stata depotenziata, come già accennato, da un massiccio esodo del personale.
Le responsabilità della Regione
È necessario innanzitutto che la regione rediga un nuovo piano di difesa idrogeologica, dove sono elencati in ordine di priorità tutte le aree in frane o a rischio alluvione che interagiscono con abitati e con strade o ferrovie, su cui destinare tempestivamente fondi adeguati alla complessità e all’ampiezza degli interventi strutturali e definitivi di riduzione del rischio idrogeologico.
Inoltre, è indispensabile che la Regione apra con i Comuni un confronto riguardo al finanziamento di interventi esclusi, per mancanza di fondi, dai vari piani regionale di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico.
In attesa della realizzazione di interventi definitivi, la regione dovrebbe consentire, attraverso finanziamenti che dovrebbero essere erogati tempestivamente ai Comuni, la realizzazione di lavori urgenti di piccola entità, destinati quantomeno all’allontanamento delle acque di ruscellamento dalle aree in dissesto di maggiore criticità ed al loro monitoraggio.
La legge n.267/1998 (“misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico”) - volta ad incentivare la nascita di strutture tecniche specificamente dedicate alla previsione, prevenzione e gestione di rischi naturali - dispone che “le Regioni possono provvedere alla costituzione dell’Ufficio Geologico Regionale”. La Regione Calabria – con la L.R. n.14/1980 (che a tutt’oggi non è mai stata attuata) - provvede alla “Istituzione dell’Ufficio Geologico Regionale”. Nel 1998 - con 18 anni di ritardo (ultima regione in Italia) - la Giunta Regionale istituisce il Settore Geologico Regionale che “effettua studi e rilievi connessi con gli interventi da attuare sul territorio inerenti la prevenzione da calamità naturali, la conservazione della stabilità dei suoli”. Un incomprensibile provvedimento della “Giunta Loiero” (Decreto P.R. n.7/2005, “Riordino della Struttura della Giunta Regionale”) ha eliminato di fatto la possibilità di avviare il Settore Geologico Regionale, di vitale importanza in una regione, la Calabria, tra le più esposte al mondo ai rischi naturali. Per questo motivo è indispensabile l’istituzione, in tempi rapidi, dell’Ufficio Geologico Regionale.
Al fine di sopperire alla mancanza di manutenzione dei territori determinata dallo spopolamento la Regione deve provvedere a utilizzare e potenziare il numero di operai forestali la cui attività, contrariamente a quando fatto in passato, deve essere inquadrata nell’ambito di un quadro programmatico organico e condiviso con i vari soggetti preposti.
Le responsabilità del Commissario di Governo per il Dissesto Idrogeologico in Calabria
Il Commissario è tra i principali responsabili del dissesto idrogeologico in Calabria poiché rappresenta la causa dell’insostenibile lentezza burocratica nell’erogazione dei fondi che spesso sono stati fruiti dopo troppi anni e dopo che magari, aree in frana o colpite da alluvioni hanno aumentato in modo sensibile la loro ampiezza rispetto a quanto previsto dalle progettazioni, rendendo così i progetti di risanamento idrogeologico del tutto inutilizzabili. Il Commissario è un soggetto inutile perché rappresenta di fatto un collo di bottiglia burocratico che potrebbe essere eliminato, delegando le sue funzioni direttamente alla Regione.
Le responsabilità di Comuni e Province
In Calabria gli eventi naturali recenti hanno evidenziato quanto complesso e difficile sia il compito della difesa del suolo per gli amministratori locali che si scontrano con problemi legati alle leggi vigenti, che trasferiscono funzioni e competenze in materia di difesa del suolo ai Comuni, in qualità di soggetti attuatori, e alle Province, per quanto riguarda i dissesti che interessano le strade provinciali. In particolare, i Comuni hanno uffici tecnici con personale in numero del tutto inadeguato per poter gestire interventi di sistemazione idrogeologica spesso importanti e complessi. Per questo motivo devono essere messi in condizioni di poter adempiere pienamente ai propri compiti attraverso il trasferimento, dalla regione, delle risorse economiche, e soprattutto, da parte del governo centrale, della disponibilità di fondi per l’emanazione di bandi per l’assunzione di personale tecnico.
Le responsabilità dei privati cittadini
In base al Regio Decreto n.523/1904 tutt’ora vigente, spetta ai privati cittadini la manutenzione dei propri fondi. Spesso, da fondi privati che versano in stato di abbandono, si originano dissesti causati dalla mancata regimazione delle acque superficiali. Paradossalmente, gli stessi privati hanno avviato svariati contenziosi contro Province e Comuni, rivendicando lauti risarcimenti per i danni subiti da dissesti di cui essi stessi sono corresponsabili.
Le responsabilità di chi deve controllare i progetti e vigilare sulle opere abusive
È indispensabile vigilare se gli interventi edilizi assentiti ricadono in aree a rischio idrogeologico: ciò può attuarsi attraverso una legge sismica regionale, del tutto inadempiente, che anziché procedere al controllo a campione del 2% dei progetti, come avviene attualmente, deve obbligare gli uffici preposti (ex-genio civile) al controllo del 100% degli elaborati progettuali.
Dulcis in fundo l’elemento forse più importante: la vigilanza attenta sul territorio da parte delle polizie municipali per scongiurare il fenomeno diffuso dell’abusivismo edilizio.