Eccoli, ancora una volta, intenti a strapparsi brandelli di pelle e a moltiplicarsi senza generare nulla. Eccoli, i reduci e i nuovi interpreti, di un’idea che fu popolo e ora è solo un’ombra sbiadita dentro i Palazzi.
Apprendiamo che in Calabria, una nuova corrente si ribella a quel Partito Democratico ufficiale che per anni ha combinato disastri, e che oggi apre un'autostrada alla ricandidatura e alla rielezione di Roberto Occhiuto alla Presidenza della Regione.
Si dichiarano il futuro, dicono di voler dare il via all'ennesima ricostruzione.
Ma la triste verità è che la sinistra agonizzante non risorgerà nelle stanze del PD, perché è morta nelle tessere, nella partecipazione e nei circoli.
È morta quando ha smesso di sporcarsi le mani, quando ha dimenticato che la politica non è gestione, conservazione, collusione, ricatto e amministrazione del nulla, ma è lotta feroce contro chi sfrutta e comanda.
È morta quando ha sostituito il pane con le statistiche, la rabbia con la burocrazia, il popolo con i convegni, le strade con i salotti, le piazze con "circoletti" sempre più esclusivi ed escludenti.
E allora questa ennesima frattura è forse un risveglio? Oppure è solo l’ennesima disgregazione, la ripetizione ossessiva di un fallimento che non sa trasformarsi in rivolta? Perché la sinistra, se vuole risorgere, deve fuggire dai palazzi, dell'austerity e dal liberismo, tornare nelle piazze e nelle strade, tra le mani callose degli operai, tra i braccianti piegati nei campi, tra gli insegnanti con i contratti sempre più precari, tra i giovani senza futuro e tra i pensionati che contano le monete al supermercato. Deve tornare dove la vita è fatica e sudore, dove la politica non è strategia ma necessità.
Ma probabilmente non è più capace. Ha paura di essere scomoda, di essere sporca, di essere autentica. Ha paura di essere ciò che era, e così tace e nel silenzio muore.
C'è un deserto, oggi, non solo in Calabria, ma in Italia, in Europa, e probabilmente nel mondo.
Non è fatto di sabbia, ma di silenzio. Un silenzio innaturale, che nasce dalla dimenticanza. È il silenzio della sinistra, un tempo vociante, un tempo piena di parole forti, appassionate e radicate, capace di toccare il cuore delle persone e di piegare il cielo ai propri ideali. Oggi, invece, quella voce si è spenta, intrappolata in un lessico sterile, in un linguaggio politicamente corretto che non scalda più, che non ferisce e non guarisce.
Ma cos'è accaduto? Dove siete finiti, voi che parlavate di terra e sangue, di sudore e fatica? Dove sono le voci che denunciavano l'ingiustizia sociale e chiedevano con forza che i deboli venissero ascoltati? Al loro posto, rimane una sinistra che rincorre i diritti civili come fossero decorazioni da esibire, ma che ha dimenticato che senza giustizia sociale reale, quei diritti non sono che involucri vuoti, bandiere che sventolano nel nulla.
Una sinistra senza radici, che parla di libertà ma ha smesso di parlare di lavoro, che celebra l'individuo ma non protegge più il collettivo. E così si è persa la connessione sentimentale con il popolo, quella capacità, un tempo innata, di ascoltare il battito profondo della società, di comprenderne i bisogni e di trasformarli in azione politica.
Ora, invece, la sinistra cammina nel vuoto, più preoccupata di non offendere che di farsi capire, incapace di parlare una lingua che risuoni nei cuori della gente comune.
Nel frattempo, la destra ha imparato a parlare, e lo fa con parole antiche.
La destra non ha paura di essere riconoscibile, di essere radicale; e mentre riempie di significati nuovi, pericolosi, quei termini, la sinistra resta ferma, in un imbarazzante silenzio.
Ma non c'è nulla di male nell'essere radicali, cara sinistra, soprattutto quando il mondo chiede disperatamente una direzione, un gesto forte, una visione alternativa.
Oggi, però, sembri solo l'ombra di un modello americano, un Partito nominalmente "Democratico" che ha rinunciato alla lotta per il popolo, trasformandosi in una piattaforma elitaria di compromessi.
Abbiamo importato persino i loro errori, dal crescente astensionismo a un sistema politico ridotto a un circo mediatico. Rischiamo, infine, di importare anche i loro simboli, e dopo averlo già fatto con parte della nostra sinistra, non ci resta che trasformare la nostra destra in un Partito Repubblicano che, per coerenza storica, da noi dovrebbe chiamarsi “repubblichino”.
La sinistra, quella vera, non deve essere un'imitazione, né un’eco del passato. Deve ritrovare il coraggio di guardare negli occhi chi soffre, di parlare con chi si sente escluso, di ricominciare dai margini della società. Deve tornare a essere popolare, ma non nel senso volgare della parola. Deve essere radicata, autentica, capace di dialogare con la realtà, deve riscoprire la sua lingua, quella che parla di lotta e di speranza, di diritti e di doveri, di comunità e solidarietà.
Cara sinistra, il tempo è poco, il mondo sta cambiando rapidamente, ma senza di te rischia di andare verso il buio. Devi tornare a essere radicale, non per nostalgia, ma perché solo così puoi tornare a illuminare il cammino. Ricordati chi sei, ricordati da dove vieni. Il popolo non aspetta, o torni, o ti condannerà al silenzio eterno.
Questa volta però, il silenzio non sarà solo un deserto ma sarà il cimitero in cui verrai definitivamente sepolta.