Che cos’è un Paese in cui un gastroprotettore è un lusso, ma un fucile d’assalto è un investimento?
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Ho visto ancora una volta la fine della civiltà. Non è arrivata con un colpo di Stato, né con un decreto che aboliva la sanità pubblica. No. È arrivata nel gesto piccolo, insignificante, di un medico calabrese che apriva una lettera e sbiancava in volto.
Diecimila euro di multa. Non per una diagnosi errata, non per una negligenza, non per un errore medico. Per aver prescritto un gastroprotettore, un analgesico. Per aver dato sollievo a un malato.
E allora ho capito: in Italia curare è diventato un crimine.
Non è più una questione di medicina, di scienza, di giuramenti. È una questione di denaro. Il dolore è diventato un lusso. Il medico, che fino a ieri era uno dei pilastri della società, oggi è l’untore da sacrificare sull’altare della contabilità. Il colpevole designato in un sistema che ha bisogno di nemici per nascondere i propri fallimenti. E questa volta il rito sacrificale si è consumato in Calabria, terra dove la sanità pubblica è da anni un campo di battaglia tra tagli, commissariamenti e scandali. Non un caso isolato, ma il sintomo di un Paese intero che ha deciso di risparmiare sulla pelle dei suoi cittadini.
E così il messaggio è chiaro: non osate prescrivere troppo. Non osate curare troppo. Perché la sanità pubblica non è più un diritto, ma un privilegio concesso con il contagocce.
Ci raccontano che questi tagli sono necessari. Ci dicono che la sanità costa troppo, che bisogna "ottimizzare", che il sistema sanitario nazionale non può più permettersi certe spese. Ma la verità è un’altra.
Se davvero la priorità fosse il risparmio, perché non si toccano gli stipendi d’oro dei manager pubblici? Perché non si interviene sulle falle negli appalti sanitari, che valgono miliardi in sprechi? Perché non si eliminano i rimborsi gonfiati per forniture e consulenze, che bruciano risorse per i cittadini?
No, si taglia sulle medicine. Perché è più facile. Perché i malati non scioperano, non bloccano le strade, non vanno in TV.
Soffrono in silenzio.
Il risultato? Il medico, messo sotto pressione, comincerà a esitare. A trattenere la penna. A chiedersi se un antidolorifico valga il rischio di una sanzione.
E il paziente? Il paziente tornerà a casa. Guarderà la ricetta, chiamerà la farmacia, scoprirà che il farmaco non è coperto. E allora resterà a letto. Aspetterà. Si abituerà al dolore.
Ma c’è di peggio. Mentre i medici vengono puniti per aver prescritto troppe medicine, mentre i pazienti smettono di curarsi per paura dei costi, lo Stato spende miliardi in armi.
Nel 2024, il Fondo Sanitario Nazionale è stato fissato a 134,1 miliardi di euro, con un incremento di 5,3 miliardi rispetto all’anno precedente. Ma attenzione, questa crescita non è servita a migliorare i servizi per i cittadini, ma a coprire costi strutturali e inefficienze.
Nel frattempo, il bilancio della Difesa ha raggiunto i 29,18 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1,3 miliardi rispetto al 2023. Se la sanità ha ottenuto un incremento del 4%, la spesa militare è cresciuta del 6,6%.
Se si guarda nel dettaglio: l’Italia ha pianificato 1,6 miliardi di euro per 20 nuovi jet da combattimento T346, destinati alla pattuglia acrobatica nazionale. Sono stati stanziati 7 miliardi di euro per 25 nuovi caccia F-35, che si aggiungeranno agli 80 già previsti. La spesa militare rappresenta oggi l’1,5% del PIL, con l’obiettivo di raggiungere il 2% richiesto dalla NATO nei prossimi anni. E per l’anno in corso le spese militari sono destinate ad aumentare vertiginosamente.
E allora mi chiedo: davvero non ci sono soldi per la sanità? Davvero lo Stato non può permettersi di garantire a un malato cronico il farmaco di cui ha bisogno, ma può tranquillamente stanziare miliardi per nuovi jet da combattimento?
Davvero un medico che prescrive un antidolorifico deve pagare diecimila euro di multa, mentre chi firma ordini d’acquisto per nuove armi non viene mai messo sotto processo per “spese eccessive”?
Non ci sono problemi di bilancio quando si tratta di droni, missili, caccia da guerra.
Non ci sono lettere minacciose per chi approva commesse militari da cifre astronomiche.
Si muore di un’ulcera non curata, ma il cielo sarà pieno di missili scintillanti.
E allora mi chiedo: che cos’è un Paese in cui un gastroprotettore è un lusso, ma un fucile d’assalto è un investimento? Cos’è un Paese che punisce chi cura e premia chi uccide?
Non è più una Nazione. È un deserto. Un deserto morale, in cui il valore di una vita umana si misura in diecimila euro di multa. E in questo deserto, io ho visto ancora una volta la fine della civiltà. Questa volta l’ho vista in una lettera. In una ricetta strappata. In un medico che, per la prima volta, ha avuto paura di curare.