Dinamiche feudali ancora pulsanti hanno impedito la piena valorizzazione di luoghi straordinari e di una bellezza struggente
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Da un lato la bellezza struggente, unica, distintiva, assoluta di Pietra Cappa e dell’Aspromonte. Dall’altro le ferite aperte e sanguinanti del sottosviluppo, della disoccupazione, della sofferenza delle imprese e delle famiglie. Ho dedicato quest’ultima domenica, con amici e attenti accompagnatori, a una lunga e impervia passeggiata nel territorio di Careri, tra Natile Nuovo e Vecchio, per raggiungere lo straordinario monolito che, in territorio di San Luca, domina un bel tratto di uno dei Parchi nazionali più importanti del mondo.
La Calabria deve ancora essere capita. Studiata e decriptata. Non ci è riuscito lo Stato e men che meno l’Unione Europea con la sua overdose di regolamenti e di interessi impopolari. Stentano anche le amministrazioni locali. A ben vedere i suoi stessi abitanti non sono riusciti, per cause diverse, a rendere questo paradiso, come meriterebbe, il luogo più accogliente e ambìto del Pianeta. Ragioni diverse, dicevo.
Da un lato il permanere di una mentalità feudale, insegnamento questo che devo a mio padre Francesco, letterato e storico. Mi invitò a riflettere sempre sul concetto di “feudo” quale chiave di lettura delle dinamiche economiche e sociali del Mezzogiorno e della Calabria in particolare. È proprio così, e ne ho trovato conferma in decenni di professione in trincea. Generazioni e generazioni di feudatari, tra politica e burocrazia autoreferenziali, tra imprenditoria rapace e speculatori senza freni, hanno succhiato il sangue a una regione ricchissima per accentrarlo in poche mani e dilapidarlo altrove a beneficio di pochi privilegiati.
Dall’altro la massa inconsapevole, acquistata a poco prezzo dalle clientele e dalla gestione del bisogno, o sottomessa ed emarginata. Le esperienze vitali, pur diffuse e di valore, sono sempre state minoritarie e i risultati drammatici sono davanti agli occhi di tutti. Grazie, ripeto, ad alcuni accompagnatori che dimostrano di amare davvero la propria terra, ho raggiunto anche io Pietra Cappa che finora avevo avuto modo di ammirare soltanto dall’automobile. E mi sono chiesto, avendo avuto la fortuna di viaggiare tanto: che senso ha andare a Londra o ad Amburgo, a Siviglia o a Monaco di Baviera se non hai prima visitato ogni centimetro della terra più incantevole e seducente del mondo?
Pochi sanno che parte importante delle mie radici è in Aspromonte, per cui ammetto di essere influenzato da sentimenti for ti. Ma sono capace di giudicare lasciando da parte le emozioni e disponendo di tantissimi termini di paragone. Tra lecci anche monumentali e grandi cespugli di Erica Arborea (quella, per intenderci, dalle cui radici si possono realizzare pipe artigiane di rara eleganza) mi sono arrampicato fino ai piedi del giganteggiante monolito, concedendomi la visione di panorami, anche “leopardiani”, lungo la vallata del Careri e fino all’abitato di Platì.
Il contesto è quello noto come le Valli delle Grandi Pietre (Cappa, Tonda, Lunga, San Pietro…) tutte meritevoli di massima attenzione sotto mille profili (geologico, botanico, antropico, climatico, spirituale, storico, agroalimentare…). Cercherò con tutta la mia forza, e con massima umiltà, di dare una mano a questo territorio che non merita di essere conosciuto, troppo spesso, quale pericoloso e oscuro regno della ’ndrangheta.
Non mi soffermerò, in questo primo ragionamento, sulle filiere della capra e del maiale nero che sto osservando con ripetuti viaggi e attenzione particolare. Concludo dicendo che l’Aspromonte è la quintessenza di una Calabria che può ancora decidere di vincere o di perire lacerata dalle unghie del “feudo”.