L’intervento con cui il sottosegretario Marco Minniti ha concluso la festa regionale dell’Unità a Cosenza non può non essere condiviso da chi interpreta la politica nella sua accezione più nobile, ossia interpretando l’amministrazione della cosa pubblica come servizio ai cittadini.
Minniti ha dispensato messaggi precisi sulla sanità, sulla necessità che la politica selezioni la classe dirigente e che le scelte decisive siano frutto di maggiore collegialità. Tradotto per chi non volesse ascoltare, significa basta con l’autoreferenzialità e con i trasformismi.
Ha ragione Minniti quando afferma che il commissario Scura nominato dal governo e il governatore Oliverio eletto dal popolo devono “entrare in rapporto”.
I dissidi e le controversie tra i due producono ulteriore danno alla sanità calabrese con incrementi incalcolabili di emigrazione sanitaria e la impossibilità per i cittadini calabresi di avere garantito il diritto di curarsi nella propria terra, dove pure esistono professionalità di alto profilo che non vengono valorizzate.
Di là da ogni giudizio su Scura, il governatore Oliverio deve collaborare con il commissario per assicurare quantomeno i servizi sanitari essenziali ai cittadini calabresi. La battaglia da fare, più che per ottenere la nomina a commissario, è quella per chiudere la stagione del commissariamento. Altrimenti resterà l’equivoco che la nomina a commissario della sanità rappresenti una carica ambita per meri interessi politici: la salute è un diritto irrinunciabile, che non può essere barattato con niente e con nessuno. Assumere impegni elettorali sulla sanità significa assumerli sulla pelle della gente.
Il vero problema è che le ultime elezioni calabresi avrebbero dovuto essere caratterizzate da una sfida epocale: chi vince governa a mani libere.
Invece, rifiutando l’invito che gli avevo rivolto in tale direzione, il governatore Oliverio ha caricato sulle sue spalle e su quelle dei calabresi i più accaniti trasformisti, senza selezionare la classe dirigente che lo avrebbe dovuto accompagnare per la durata della legislatura.
Ora Oliverio deve pagare il prezzo politico a chi si è candidato nelle sue liste e gli chiede conto del numero dei voti riportati.
Anche in tal caso ha ragione Marco Minniti: la selezione della classe dirigente è cosa irrinunciabile e deve prescindere dal mero interesse politico del consenso elettorale.
Questo vale per tutte le parti politiche, se è vero come è vero che in consiglio regionale, come in parlamento, non è affatto semplice distinguere chi e quando è maggioranza o opposizione: dipende dallo specifico interesse del momento, in spregio all’etica che dovrebbe rappresentare un prerequisito della politica.
La selezione della classe dirigente politica è il problema centrale della democrazia.
Quello dell’autorevolezza e della qualità della classe dirigente è l’aspetto aspetti più delicato della politica, e bisogna evitare che un assessore tecnico, insieme al decreto di nomina, si veda consegnare l’elenco già scritto dei nominati nella sua struttura.
Se è vero che la selezione della classe dirigente è il frutto diretto dei sistemi elettorali, è anche vero però che la politica deve dettarsi regole autonome che non possono prescindere dalla morale, e soprattutto devono bandire la doppia morale: quella che vale per gli altri e non per noi.
L’impatto che le classi dirigenti possono esercitare sul benessere della popolazione è troppo spesso sottovalutato e, come dice Minniti, è un problema di qualità e non di appartenenza. Basta con il “cambiare tutto per non cambiare niente” di gattopardiana memoria. Regaliamo un sogno ai cittadini: cambiare si può, se lo si vuole davvero.