Il presidente delle Commissione antimafia: «Se accuse confermate, i beni siano restituiti ai cittadini»
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Il sequestro di beni, assetti societari e rapporti finanziari per un valore di circa 22 milioni di euro riconducibili a un imprenditore calabrese operante nell’area dell’alto ionio cosentino, nel Cassanese e nella Sibaritide ma anche con interessi nella città di Roma e zone limitrofe «cristallizza nuovamente come la mafia sia capace di infiltrare diversi territori e settori commerciali rendendo queste operazioni ancora più importanti e necessarie per i territori coinvolti». A sottolinearlo, il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, in una nota.
«Andando a studiare le aziende sequestrate in via cautelare – spiega Morra – ci si può rendere conto che si occupavano di raccolta, stoccaggio, trasformazione e smaltimento di rifiuti, edilizia specializzata, torrefazione, trasformazione e commercializzazione, all’ingrosso e al dettaglio, di caffè e prodotti affini, supermercati, compravendita immobiliare, servizi pubblicitari e marketing, compravendita e noleggio di autovetture e veicoli in generale e da corsa, produzione di birra artigianale con somministrazione e ristorazione, costruzioni di edifici residenziali e non, trasporto di merci su strada, fino ad arrivare a fare affari con la pubblica amministrazione grazie all'assunzione di appalti pubblici e privati per la progettazione e costruzione di opere, fabbricazione e messa in opera di prodotti bitumosi».
«Tutti questi ambiti d’interesse in cui si sarebbe infiltrata la mafia avrebbero prodotto all’imprenditore numerosi veicoli industriali ed auto di grossa cilindrata, nonché una villa di ben 400 mq. Qualora venissero confermate tutte le accuse e il conseguente sequestro dei beni dovranno tornare nelle mani dello Stato prima possibile ed essere restituiti ai cittadini, unici reali beneficiari del maltolto», aggiunge.