La Cgil «apprezza e ringrazia le forze dell'ordine per il prezioso lavoro che in Calabria stanno facendo per contrastare la criminalità organizzata. L'operazione Geolja parla ai lavoratori ed alle lavoratrici di questa nostra Calabria. Ci si chiede di prendere coscienza che dietro ogni sopruso, ingiustizia, ricatto subito dentro un luogo di lavoro spesso ci sono logiche ed azioni criminali che condizionano la nostra vita e la nostra società». Lo scrivono, in un documento, Angelo Sposato, segretario generale della Cgil Calabria, Celeste Logiacco, segretaria generale della Cgil della Piana di Gioia Tauro, Giuseppe Valentino, segretario generale della Filcams Cgil Calabria, Samantha Caridi, coordinatrice della Filcams Cgil di Reggio Calabria–Gioia Tauro. 

Ma il vero interrogativo, secondo la Cgil, «è se davvero c'è una reazione strutturata e coerente contro la 'ndrangheta o se spesso anche chi dovrebbe operare a tutela della Repubblica, attraverso sottovalutazioni, omissioni e inadempienze non favorisca la sopravvivenza di questo virus distruttivo.Occorre, a nostro avviso, costruire una riflessione che parta innanzitutto dal mondo del Lavoro, dal sistema delle imprese, dall'associazionismo e che determini dentro le nostre comunità una presa di coscienza con l'obiettivo di rafforzare e proteggere le attività sane, che rispettano i diritti ed i contratti, che denunciano la criminalità ed il Pizzo anziché finanziare la 'ndrangheta».

La Filcams Cgil Calabria, si sottolinea nel documento, «è impegnata ad aprire un'interlocuzione con le associazioni datoriali al fine di costruire azioni che tendano a favorire la parte sana dell'economia e della società con l'obiettivo di isolare il marcio presente nel mercato del lavoro e nelle Istituzioni.Sollecitiamo, nel frattempo, le istituzioni ad attivare quegli strumenti utili, presenti anche nel nuovo codice antimafia (seppur di fatto indeboliti - si denuncia - dalle modifiche apportate dell'ex ministro dell'Interno, Salvini) a partire dalla costituzione dei tavoli provinciali su aziende sequestrate e confiscate (previsione presente nell'art. 41-ter del D Lgs 159/2011) per come richiesto a maggio scorso dalle segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil a tutte le prefetture calabresi».

«La 'ndrangheta - continua la nota - soprattutto nei settori del turismo, del commercio e dei servizi in Calabria ruba il futuro a migliaia di lavoratrici e lavoratori ed ai loro familiari. Ogni volta che viene applicato un contratto pirata, ogni volta che l'azienda non rispetta i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, ogni soldo di paga rubato e sottratto ad un dipendente per poi finire nelle mani dei Mammasantissima è un furto alle nostre vite, alla possibilità di riscatto della Calabria. Ci sono alcuni particolari emersi dall'inchiesta - scrive la Cgil - che dovrebbero portare ad un sussulto, ad una riflessione indignata e possibilmente ad una reazione concreta coloro i quali si pregiano di rappresentare il sistema delle imprese, le istituzioni, gli enti locali, lo stato. Il fatto che dopo anni di battaglie, lotte, movimenti, formazione, azioni culturali e di sensibilizzazione, arresti, denunce, di fronte ad un attentato alla propria attività commerciale non ci si rivolga alle forze dell'ordine ma alla 'ndrangheta per chiedere protezione è devastante dal punto di vista culturale perché significa che viviamo in una società dove lo Stato è più debole delle forze occulte e criminali. La cosa grottesca - incallza il sindacato - è che mentre lo Stato spesso si piega alle logiche del mercato, in Calabria il mercato viene gestito, organizzato e governato alla luce del sole dall'anti-Stato che impone regole di concorrenza, orari di lavoro, e salari; praticamente un diritto del lavoro alternativo a quello che dovrebbe essere garantito da leggi ed istituzioni pubbliche».

Invece, afferma la Cgil, «la totale inadeguatezza ed inconsistenza dei servizi ispettivi, le lungaggini processuali, l'impunità garantita alle imprese che violano i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori ha portato gradualmente ad un senso di rassegnazione e di assoggettamento per cui si preferisce non denunciare e non far rispettare i propri diritti sul luogo di lavoro. Quando il lavoro è debole e senza diritti lo Stato perde».