Il segretario federale di Idm: «Forse è arrivato il momento della disobbedienza civile»
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«La fase 2 dell’emergenza pandemia a cui in molti guardavano come un ritorno, se ben graduale e nel rispetto dei protocolli vigenti, alla normalità ha deluso le aspettative, soprattutto in quei passaggi dove la politica avrebbe dovuto giocare un ruolo più incisivo. L’Italia del Meridione ha più volte sostenuto la necessità di cambiare rotta da quello che è stato presentato come il “Cura Italia”, o forse ormai per molti “Il fu decreto”, perché i giorni passano inesorabilmente e l’economia italiana è ormai in pieno default».
Lo dichiara il segretario federale di Italia del meridione, Orlandino Greco.
Risposte chiare
«Non è polemica – continua – ma constatazione dei fatti e di una situazione che chiede risposte chiare e risolute che ad oggi non sono state disattese. Forse è arrivato il momento della protesta intesa come disobbedienza civile a tutto ciò che viene chiesto nonostante l’obbligo di chiusura, il nostro No non è al lockdown ma alla richiesta di continuare a pagare tasse, sostenere gli impegni fiscali, l’onere delle bollette e utenze. Nessuna istigazione all’illecito ma espressa istanza di sospendere da parte dello Stato ogni debito fiscale dovuto a chi al momento è senza lavoro o costretto a chiudere la propria attività a causa dell’emergenza pandemia».
«Non c’è settore – insiste Greco – che non abbia accusato il colpo, alcune piccole e medie aziende già non esistono più, il commercio al dettaglio, i settori della ricettività e quello della cura della persona sono finiti nel baratro e in molti, soprattutto dopo l’ultimo decreto che ha posticipato all’1 giugno la riapertura (?), hanno deciso di abbassare la saracinesca del tutto. Troppe incertezze ma soprattutto troppi costi e nessuna garanzia di sostegno reale. Dai 600 euro ai 25mila euro che i più fortunati hanno ricevuto, cassa integrazione non ancora pervenuta, modalità di riapertura in itinere, l’unica certezza sembrerebbe rimane il reddito di cittadinanza! Lo scenario, quindi, più vicino alla realtà in questo momento è quello di un Paese in recessione con più disoccupati che lavoratori. Ormai sono tutti concordi che quella che stiamo vivendo e che ancora non si è manifestata del tutto sarà maggiore della crisi finanziaria del 2008/2009, un Pil in negativo mai recuperato ma che oggi segnerà in maniera duratura la crescita del nostro Paese se non si attenueranno misure di contrasto atte a mettere in circolazione più soldi possibile». Pil in calo del 13% «L’ifo (Institute for economic research) – prosegue Greco – afferma che in Italia un blocco parziale all’attività delle imprese che si protraesse per almeno due mesi avrebbe un costo tra i 143 e i 234 miliardi di euro, con una contrazione del Pil tra l’8 e il 13 per cento su base annua. Se poi lo shutdown si estendesse al terzo mese, l’impatto complessivo potrebbe sfiorare, nello scenario peggiore, i 350 miliardi di euro: equivarrebbe a una perdita di circa il 20 per cento del Pil nazionale. Ogni proroga aggiuntiva di una settimana, secondo l’Ifo, avrebbe effetti in termini di perdite che variano in una forbice tra 14 e 27 miliardi di euro».
«I numeri – aggiunge – parlano chiaro e descrivono una situazione molto più realistica della stessa pandemia dal punto di vista sanitario, perché senza vaccino o cura il contagio continuerà e non è possibile fare previsioni in merito. Al contrario l’emergenza sociale ed economica-finanziaria è un dato di fatto a cui il governo italiano non riesce a dare risposte concrete, immediate ed efficaci Si chiedono sacrifici, si demandano responsabilità, si fa leva sul senso civico e anche patriottico, si nominano task force di cui i risultati sono più invisibili dello stesso virus, ma ciò che poteva essere fatto concretamente ancora viene consapevolmente rinviato. È stato più volte ripetuto, lo abbiamo evidenziato in più appelli, anche i vertici delle banche stesse ne sono consapevoli, la liquidità immediata è l’unico vaccino possibile. Si punta il dito contro l’Europa ma si demanda ad essa la soluzione, nessuna azione di forza è stata messa in campo a differenza degli altri Paesi che hanno risposto in maniera più repentina. La Fase 2 non è neanche una prova della “ripartenza”, così come dichiara l’Iss il rischio del contagio è ancora troppo alto, alcune restrizioni sono necessarie altre negano una messa in moto dell’economia in termini di redditività, è la libera mobilità che genera flusso. Riaprire ora, con tutti rischi del caso, non aiuterebbe perché le uscite sarebbero a conti fatti maggiori delle entrate».
Supporto in contanti
«Ecco perché – spiega ancora – sono necessarie operazioni di supporto che siano “in contanti”, soldi in contanti, accreditati sui conti correnti e a fondo perduto, solo così lo Stato può garantire non la sussistenza ma la sopravvivenza dei mercati e di ogni settore merceologico e quindi dell’economia stessa dell’Italia. Non sappiamo quali siano i decreti e le azioni messe in campo che “gli altri ci invidiano e ci elogiano”, così come sottolineato più volte dal Presidente del Consiglio, ma sappiamo di certo che ciò che sinora è stato affidato alla Cassa depositi e prestiti e agli Istituti di credito è un ulteriore “garanzia” dell’indebitamento personale. Quello che viene concesso in una condizione di obbligatorietà dovrà essere restituito, a cui vanno aggiunte quelle spese alquanto onerose richieste per l’attuazione dei protocolli di riapertura (quando e se!?), tutto dunque sulle spalle degli italiani e con esse la vera ripresa di questo Paese».
«Non c’è frase d’effetto, hashtag, comunicazione responsabile o positiva che tenga, soltanto la consapevolezza – conclude Greco – che se ci rialzeremo, in un quadro come questo senza ripensamenti e azioni di guerra (anche se a molti non piace come similitudine, ma questo è!) da parte del governo, sarà stato grazie alla resilienza di un popolo che oggi intona sì l’inno nazionale ma intanto pensa #iosperiamochemelacavo!».