Tenacia, coraggio e determinazione sono nel loro Dna. Nella giornata dell'8 marzo una carrellata di storie, alcune conosciute e altre meno, dal secolo scorso ai giorni nostri
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Non tutte ma in nome di tutte: ecco le donne calabresi che hanno fatto la differenza
Giuditta Levato aveva solo 31 anni ed era incinta di sette mesi del suo terzo figlio quando, nel 1946, morì assassinata a Calabricata - all'epoca frazione del comune di Albi e oggi di Sellia Marina, nel Catanzarese. È nota per essere stata la prima vittima degli scontri durante le lotte dei contadini al latifondo. Classe 1915, viene ricordata come una donna piena di coraggio, che non si è mai fatta spaventare dalla fatica. Nemmeno quando il marito dovette partire per la guerra e lei rimase da sola a lavorare i terreni e ad assicurare così che ci fosse sempre il pane in casa. Tutto cambiò quando nel 1944, quando il ministro Fausto Gullo (calabrese) fece approvare un decreto che prevedeva la ridistribuzione delle terre incolte ai contadini. Una norma che fu ampiamente contestata dai latifondisti, i quali non si fecero scrupoli a usare la violenza contro quei poveri lavoratori che presero via via ad occupare le “loro” terre. Di fronte a tali soprusi, nel 1946 Giuditta si organizzò con altre donne per affrontare il “signorotto” del paese. Proprio dal fucile di un uomo al servizio di quest’ultimo, durante le proteste, partì un colpo che raggiunse la donna all’addome. Era il 26 novembre, Giuditta morirà qualche giorno dopo in ospedale. Il suo ricordo è ancora vivo: a lei nel 2004 è stata intitolata la sala conferenze di Palazzo Campanella a Reggio e diverse strade, in Calabria ma non solo, portano il suo nome.
Concetta Pontorieri è stata la prima donna in Calabria a conseguire la laurea. Un traguardo straordinario per l’epoca: basti pensare che nacque nel 1897 a Rombiolo, piccolo centro dell’entroterra vibonese. Pur essendo di buona famiglia, in quanto donna dovette sfidare i pregiudizi dell’epoca e superare mille difficoltà e malumori per perseguire il suo obiettivo: studiare. Dover stare lontana da casa, per giunta da sola, non era di certo una cosa ben vista, nemmeno dalla sua stessa famiglia. Anche tra le mura di casa Concetta si trovò infatti a fronteggiare numerose resistenze. E quando uno dei fratelli maggiori l’accompagnò a Roma per iscriversi all’Università La Sapienza, l’avrebbe salutata dicendole: «Avrei preferito accompagnarti al tuo funerale». Parole dure da digerire per una ragazzina, eppure Concetta andò avanti sulla sua strada. Pochi anni dopo si sarebbe trasferita a Torino e qui avrebbe conseguito la laurea in Scienze Naturali. In seguito, la prima calabrese a raggiungere quell'importante traguardo continuò a dedicarsi all'insegnamento e alla promozione dell'istruzione tra i più giovani. Una vita molto lunga la sua, attraverso ben tre secoli: è morta a 107 anni nel 2004. A Ionadi, nel Vibonese, lo scorso maggio le è stata intitolata una biblioteca.
Caterina Tufarelli Palumbo fu tra le undici donne che per la prima volta nel 1946 vennero elette sindaco in Italia, una conquista che fino ad allora per il genere femminile non era stata altro che un miraggio. Con i suoi 24 anni Caterina divenne anche la più giovane sindaca della Repubblica italiana. Nata nel 1922 a Nocara, in provincia di Cosenza, proveniva da una buona famiglia che fin da piccola le assicurò la migliore istruzione: gli studi in uno dei collegi più prestigiosi di Roma prima, e poi la laurea in Giurisprudenza a Napoli. Proprio nella capitale si avvicinò agli ambienti politici, frequentando ad esempio le figlie di Alcide De Gasperi. Dopo la laurea, il ritorno in Calabria: qui creò una famiglia (marito e tre figli) e fece sentire la sua presenza nella comunità. Al punto che, quando si candidò a sindaco di San Sosti, raccolse un ampio consenso. Rimase in carica fino al 1952 e tante furono le opere realizzate: dalla costruzione dell'asilo all'acquedotto comunale, dal mercato coperto alle case popolari, fino al cinema. Oggi il suo ritratto è affisso nella Sala delle Donne a Montecitorio, voluta dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini.
«Io non sono di origine, io sono proprio calabrese! Mia madre è di Bagnara Calabra, mio padre è di Villa San Giovanni, io sono nata a Bagnara: più calabrese di così! Sono la Calabria, mi sento la Calabria». Diceva così in un’intervista Mia Martini. E la sua Calabria, i suoi conterranei, non hanno mai smesso di amare lei e la sorella Loredana Bertè. Nate entrambe il 20 settembre – una nel 1947 e l’altra nel 1950 – sono tra le cantautrici più apprezzate in Italia. Una vita fugace quella di Mimì, a tratti difficile: passata dal grande successo alle dicerie secondo cui portava sfortuna. Una figura la sua ricordata per i brani che ci ha lasciato, ma segnata anche dalla tragica e improvvisa morte avvenuta nel maggio 1995, all'età di soli 47 anni. A lei fu subito intitolato il Premio della critica del Festival di Sanremo. Quello stesso premio che quest’anno è stato conquistato da sua sorella. «Ce l’abbiamo fatto, l’abbiamo portato a casa Mimì», ha detto un’emozionatissima Loredana Bertè nel ritirarlo.
La Calabria ha avuto la sua prima presidente della Regione donna nel 2020. Il 26 gennaio di quell’anno i cittadini calabresi hanno scelto come governatrice Jole Santelli. Una parentesi che sarebbe durata molto poco, poco più di otto mesi, a causa della morte della politica cosentina avvenuta il 15 ottobre del 2020. Nata nel capoluogo bruzio nel 1968, era laureata in Giurisprudenza e di professione avvocato. Si avvicinò giovanissima alla politica, aderendo prima al Partito socialista italiano e poi nel 1994 a Forza Italia. È proprio tra le fila del partito di Berlusconi che muove i suoi passi più importanti, venendo eletta nel 2001 alla Camera dei deputati e ricoprendo successivamente di anche le cariche di sottosegretaria di Stato al ministero della Giustizia e a quello del Lavoro e delle Politiche sociali. A 51 anni era diventata la prima governatrice donna della Calabria, sostenuta da tutto il centrodestra e con un largo consenso (il 55,2%). Un’avventura, però, finita presto. Oggi la Cittadella regionale di Catanzaro porta il suo nome e le sorelle hanno inoltre creato una associazione in sua memoria che si occupa di iniziative benefiche.
È conosciuta a livello internazionale per essere stata tra le prime a scoprire il gene più diffuso dell’Alzheimer. Amalia Bruni, oggi consigliere regionale in Calabria, si è così distinta nel campo della medicina e della ricerca, in particolare nell’ambito delle demenze degenerative. Nata nel 1955 a Girifalco, nel Catanzarese, è un medico specialista in Neurologia e direttore del Centro regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme. Nel 1995 è riuscita, in collaborazione con un gruppo internazionale, a isolare il gene maggiore della malattia di Alzheimer ereditaria ad esordio precoce. In seguito ha continuato ad occuparsi di assistenza e ricerca per tutte le demenze, ereditarie e non, presenti nei vari territori della Calabria e più in generale del Sud Italia. Il suo impegno le è valso anche un riconoscimento come Cavaliere al merito della Repubblica e la designazione a membro del Comitato tecnico scientifico del Consiglio superiore di sanità. Nel 2021 l’incontro con la politica e l’elezione nel Consiglio regionale con il centrosinistra. A Palazzo Campanella ha seduto prima tra i banchi del gruppo misto per poi passare tra quelli del Pd.
È a capo dell’associazione RaGi e da anni si occupa di persone colpite da demenze e malattie degenerative. Il suo nome è Elena Sodano ed è l’ideatrice di Casa Paese, un centro che accoglie persone con Alzheimer per far vivere loro una vita quanto più normale possibile. L’iniziativa è sorta a Cicala, piccolo comune del Catanzarese, e in poco tempo ha fatto parlare di sé approdando anche su emittenti televisive nazionali. Attraverso il suo progetto Elena si è così distinta nel campo sociale e in particolare nel tendere la mano ai pazienti e alle famiglie che hanno a che fare con quella terribile malattia che come un colpo di spugna cancella ricordi e intere vite. All’interno di Casa Paese le persone con demenza trovano un ambiente accogliente, un mondo a misura per loro con tanto di poste, supermercato e addirittura un cinema per permetter loro di svolgere attività quotidiane che li tengano attaccati alla normalità.
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