Lo storico giornalista Rai racconta la sua carriera e il suo ultimo libro “Ecco l’anima del luogo”: «Ho aperto il cassetto dei ricordi. La nostra terra? Un tempo c’era meno individualismo e maggiore impegno per l’altro»
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Gregorio Corigliano, una vita da giornalista, voce e volto della Rai calabrese. Per decenni ha raccontato questa nostra terra, vivendo ogni momento, ogni storia, ogni evento che qui accadeva. Ancora oggi, che ormai tutto è cambiato, tutti ricordano Gregorio Corigliano, che dopo tanti anni di lavoro, ora si dedica alle sue passioni: riflettere, leggere, scrivere.
Lo incontriamo per parlare del suo ultimo libro Ecco l’anima del luogo. Un libro che è un insieme di storie, di racconti e di fotografie. Ma quanto c’è di vero e quanto di immaginato nel suo libro, ce lo dice lo stesso autore. «Tutto vero. Ho lasciato molto poco all’immaginazione. Ho aperto il cassetto dei ricordi e ho trovato un mare di cose fatte e vissute. Ben custodite e pronte ad essere viste e rivissute».
Un libro che è un po’ un cammino. Una ricerca di un uomo del Sud che dal nulla raggiunge gli obiettivi più alti. E trova il successo. Gregorio è questo. Gregorio è anche un modello.
«Non lo so se è un modello. Forse. Se si ripercorre quel che ho fatto: ho studiato, poi ho studiato e poi ho ancora studiato. Per qualche tempo ho tentato di far politica, poi mi sono tuffato nel giornalismo. L’importante è avere e raggiungere un obiettivo. Forse l’ho raggiunto. Più di quanto mi aspettassi, anche se c’è voluta forza di volontà non comune. Volli, sempre volli fortissimamente volli, diceva uno bravo assai».
San Ferdinando, nel Reggino. Le vicende di un piccolo centro e di tanti personaggi. Cosa c’è di diverso da raccontare?
«Nulla forse, se non quello che si fa nei piccoli centri desiderosi di crescere e di affermarsi, dopo aver conquistato l’autonomia da un centro, Rosarno, che faceva molto poco per la frazione».
Nel libro c’è Gregorio Corigliano che dopo aver raccontato dalla Rai, e per decenni, la Calabria e i calabresi, ora racconta sé stesso e i luoghi della sua infanzia. Ma chi è veramente Gregorio Corigliano?
«È un uomo che si è - almeno ha tentato - sempre impegnato per gli altri, la comunità, i parenti, gli amici, quanti hanno avuto bisogno. Anche mettendo da parte esigenze personali e familiari».
Oggi è tutto così sfuggente e tutto così impercettibile. Tutto così distante. Siamo diventati digitali in tutto e schiavi di un sistema che allontana l’uomo da se stesso. Come lo stai vivendo questo momento?
«Male. Avrei voluto continuare nell’impegno professionale e politico, ma non è stato possibile. Allora mi sono dedicato allo scrivere, alle riflessioni, finalmente alla famiglia».
Hai vissuto la Calabria in lungo e largo. Nessuno come te ha raccontato le mille storie di una terra spesso incomprensibile, contraddittoria. La Calabria di trenta, quarant’anni fa, non c’è più. Qual è la Calabria che hai più amato?
«Ho avuto modo di conoscere 300-350 comuni calabresi: se ci penso bene è meglio la Calabria di allora, rispetto a quella di oggi. C’era meno individualismo, meno menefreghismo, maggiore impegno. L’altro esisteva!»
Nella tua storia di giornalista Rai, hai vissuto i momenti belli e quelli brutti che sono accaduti nel corso del tempo. Qual è stata la notizia che non avresti mai voluto dare?
«Dal punto di vista umano e personale la morte del collega Franco Bruno, col quale avevo diviso sogni e speranze. Dal punto di vista professionale il modo in cui ho trovato Rocco Lupini ad un’ora dalla liberazione dal sequestro. Non parlava, faceva il verso del cane o vedere Carlo Celadon, al momento del rilascio: non stava in piedi!»
Rifaresti tutto quello che hai fatto?
«Sì, rifarei tutto tranne una cosa: avrei dovuto trattare molto meno bene la classe politica, soprattutto quella regionale, nei miei collegamenti dal Consiglio regionale».